Bilanci fitosanitari Alsia Basilicata: l’olivo

Sono circa una decina le crittogame osservate nel triennio 2020-2022, ma è la mosca dell'olivo l'insetto chiave della coltura

da uvadatavoladmin
bilanci-fitosanitari-alsia-olivo-basilicata-avversita-insetti-ulivi

Pubblicati i bilanci fitosanitari di Alsia Basilicata , l’appuntamento biennale sull’andamento climatico e lo stato fitosanitario delle principali colture lucane realizzato dai tecnici dell’Agenzia.

Olivo, vite da tavola, agrumi e drupacee: queste le colture analizzate dall’ALSIA per la realizzazione dei Bilanci fitosanitari relativi al biennio 2020-2022.

Sono i “bilanci fitosanitari” l’argomento del Focus del n. 110 di “Agrifoglio”, la rivista ALSIA di agricoltura sostenibile della Basilicata, on-line sul sito dell’Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in agricoltura.

Ecco quanto riportato in riferimento all’olivo nei bilanci fitosanitari di Alsia Basilicata.

Nonostante l’olivo sia molto diffuso in Basilicata, il contributo regionale alla produzione nazionale di olio è di appena l’uno per cento, con una superfice coltivata di circa 26.000 ettari.

L’olivo è coltivato prevalentemente in collina (64% della superfice), spesso senza possibilità di irrigazione, mentre in pianura (18% della superfice) prevalgono gli oliveti irrigui semintensivi e intensivi. È da pochi anni che sono stati impiantati oliveti superintensivi, con un trend in crescita grazia alla possibilità di una spinta meccanizzazione. Di recente è stato istituito il marchio IGP “Olio lucano” e 22 dei 131 Comuni lucani hanno aderito all’associazione “Città dell’olio” a riprova del forte valore anche culturale e di tradizione attribuito alla coltivazione dell’olivo in Basilicata. Il panorama varietale è piuttosto ampio, con cultivar locali ben adattate ad alcuni territori (es. Faresana) e altre di maggiore diffusione (Coratina, Maiatica, Ogliarola del Bradano, Frantoio, Leccino, ecc.).

alsia-basilicata-bilanci-fitosanitari-olivo

Approssimando, si possono distinguere almeno cinque aree climatiche di coltivazione dell’olivo in Basilicata che, insieme alle differenze varietali e dei sistemi colturali, comportano gestioni fitosanitarie che possono diversificarsi a seconda della tipologia di oliveto e dell’area di coltivazione.

Le avversità dell’olivo

Tra le colture arboree, l’olivo è probabilmente quella che meglio si presta alla coltivazione biologica poiché, negli oliveti tradizionali o intensivi, la maggior parte delle avversità (crittogame e batteriosi) può essere controllata con il rame. Resta invece problematica la gestione della mosca delle olive (Bactrocera oleae), insetto chiave della coltura.

L’unica batteriosi presente in Basilicata che rappresenta un potenziale pericolo per l’olivo è la rogna, il cui agente patogeno (Pseudomonas syringae pv. syringae) è stabilmente insediato sul filloplano delle piante e può scatenare la tipica sintomatologia (escrescenze callose dette “tubercoli” per disordini ormonali) quando trova modo di penetrare nei tessuti attraverso ferite. Gli oliveti colpiti da grandine, se non trattati con prodotti a base di rame dopo l’evento grandinigeno, hanno sviluppato la malattia con danni soprattutto nei giovani impianti su cui è stato necessario rimuovere con la potatura i rami infetti da rogna.

Tra le principali malattie crittogamiche che interessano l’olivo in Basilicata, sono circa una decina le specie osservate nel triennio, ma nessuna ha comportato particolari problemi di gestione negli oliveti condotti con una razionale gestione fitosanitaria.

La lebbra (Colletotrichum gloeosporioides) è una malattia la cui incidenza è in aumento nelle aree meno ventilate o di fondovalle, anche perché la raccolta delle olive è spesso incompleta e le drupe infette sugli alberi costituiscono il principale serbatoio di inoculo del patogeno.

Occhio di pavone (Spilocaea oleaginea) e cercosporiosi (Mycocentrospora cladosporioides) sono abbastanza frequenti, ma possono essere ben controllati con opportuni trattamenti rameici. È da rilevare che, al contrario dell’occhio di pavone che presenta sintomi molto caratteristici, la cercosporiosi o “piombatura” è meno nota e a volte non viene riconosciuta dall’agricoltore anche in presenza di notevole filloptosi, erroneamente attribuita ad altre cause.

Nel 2020 e nel 2022, anche per le condizioni ambientali predisponenti, secondo quanto riportato nei bilanci fitosanitari, i danni causati dal fungo Camarosporium dalmaticum sulle drupe infestate da mosca sono stati di una certa rilevanza. Si ricorda che C. dalmaticum è spesso trasportato nelle gallerie, scavate dalle larve di mosca, dall’imenottero predatore Lasioptera berlesiana. Le olive colpite, quindi, sono spesso direttamente proporzionali alle infestazioni di mosca.

Secondo quanto riportato nei bilanci fitosanitari, la mosca delle olive si conferma comunque l’insetto chiave della coltura.

Almeno nelle aree pianeggianti e collinari dove – si legge – difficilmente si possono evitare interventi larvicidi o adulticidi per contenere il forte potenziale di crescita della popolazione.

Le condizioni climatiche di fine estate del 2020 e del 2022 sono state favorevoli alla mosca che ha aumentato le percentuali di infestazione, spesso oltre le soglie di intervento. Meno problematico è stato il controllo nel 2021 per le condizioni climatiche. È da considerare che l’eliminazione del dimetoato impone un cambio delle strategie di difesa lì dove ci si affidava a questo estere fosforico per trattamenti larvicidi abbattenti che potevano essere effettuati tempestivamente grazie alla sua forte citotropicità. La lotta adulticida con sistemi “attract and kill” da posizionare alle prime catture nell’oliveto è una strategia integrata indispensabile che può essere eventualmente abbinata con trattamenti a base di pochi prodotti registrati che, però, hanno meno capacità abbattente e maggiori tempi di carenza del dimetoato.

La coltura dell’olivo con impianti superintensivi è ancora limitata (meno di 200 ettari) e recente (il primo impianto è del 2015), ma con interessanti potenziali di crescita poiché costituisce un’alternativa alle colture frutticole, dove si cerca di abbattere i costi di produzione spingendo sulla meccanizzazione.

Dall’esperienza maturata in questi anni, l’oliveto superintensivo può presentare problematiche fitosanitarie diverse rispetto ai “classici” oliveti.

Inoltre, “vecchie avversità” possono essere molto dannose e più difficili da combattere. È il caso, ad esempio, della margaronia (Palpita unionalis) o del cotonello dell’olivo (Euphyllura olivina) che negli impianti tradizionali non necessitano quasi mai di essere trattati, mentre possono proliferare con danni sensibili nella densa massa vegetale dei filari superintensivi. Anche altri insetti ritenuti “banali” da controllare negli impianti tradizionali hanno invece richiesto strategie specifiche di lotta negli impianti superintensivi lucani, come il fleotribo (Phloeotribus scarabaeoides) che attacca direttamente il fusto principale delle giovani piante o l’oziorrinco (Otiorrhynchus cribricollis) contro il quale è difficile e costoso posizionare le barriere meccaniche.

Alle circa quindici specie di insetti che, con regolarità o occasionalmente, possono infestare l’olivo si è aggiunto da qualche anno l’ubiquitaria sputacchina (Philaenus spumarius).

Questo insetto non causa alcun problema all’olivo, ma purtroppo è tra i più efficienti vettori della Xylella fastidiosa, noto agente patogeno della sindrome CoDiRO che sta distruggendo il patrimonio olivicolo salentino e che sta pericolosamente avvicinandosi ai confini regionali della Basilicata. Ovviamente, finché non ci sarà la presenza di X. Fastidiosa, la sputacchina non comporterà alcun problema.

Il monitoraggio realizzato nel triennio dall’Ufficio fitosanitario regionale non ha rilevato alcuna infezione di X. Fastidiosa. Tuttavia l’attenzione resta alta considerando la vicinanza del “fronte di avanzamento” della malattia negli oliveti pugliesi (l’area infetta più vicina è stata rilevata in provincia di Taranto), nonché i circa trenta chilometri di costa jonica lucana che costituiscono una ben esigua barriera che separa le due regioni italiane più vocate all’olivicoltura: Puglia e Calabria (rispettivamente il 37% ed il 33% della produzione di olio nazionale).

 

© fruitjournal.com

Articoli Correlati