WWF, 2021 effetto clima: l’anno nero dell’agricoltura italiana

Secondo il nuovo report del WWF, il cambiamento climatico ha provocato effetti devastanti sulla produzione agricola, in particolare di frutta e olio

da uvadatavoladmin
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Pubblicato il nuovo report del WWF “2021 Effetto clima – L’anno nero dell’agricoltura italiana”. Secondo i dati mostrati dall’organizzazione, il cambiamento climatico ha colpito duramente la filiera del cibo italiano con ben 1.500 eventi estremi verificatisi nel 2021.

In occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione, il WWF ha pubblicato il report “2021 Effetto clima – L’anno nero dell’agricoltura italiana”.

Gli eventi estremi causati dal cambiamento climatico stanno avendo effetti devastanti sulla produzione agricola. A essere maggiormente colpita è quella della frutta, seguita dalla produzione di olio.
Allo stesso tempo – si legge nel report – produzione, distribuzione e consumo di cibo lavorano come cause dirette del cambiamento climatico. Basti pensare che il sistema alimentare contribuisce per circa il 37% alle emissioni di gas serra, di cui ben un terzo è legato agli sprechi alimentari, fenomeno in costante crescita.
A livello globale, gli impatti climatici sui suoli sono già molto seri: in alcune regioni, per esempio, le ondate di caldo e la siccità sono diventate più frequenti e intense, compromettendo la sicurezza alimentare.

L’aumento delle temperature sta infatti influenzando la produttività agricola a latitudini più elevate, aumentando le rese di alcune colture. Altre, invece, sono in calo nelle regioni a latitudine inferiore. Il riscaldamento, aggravato dalla siccità, ha già causato una riduzione della produttività nell’Europa meridionale.

E in futuro il cambiamento climatico avrà un ulteriore impatto sulle rese agricole, sulla qualità e l’offerta di cibo, con un possibile aumento dei prezzi alimentari.

Il Report, suddiviso in brevi capitoli, analizza anche il Sesto Rapporto sul clima dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), pubblicato ad agosto 2021. “Siamo in “codice rosso” e questo per l’umanità significa una grave minaccia per le condizioni di vivibilità futura del Pianeta. Le sempre più frequenti notizie provenienti da ogni angolo del globo che raccontano di incendi, tornado o alluvioni sono terribili – si legge ancora nel Report – ma ci hanno abituato a pensare al cambiamento climatico come a qualcosa con effetti localizzati, possibilmente lontani. Difficile è, invece, immaginare l’impatto che potrebbero avere sulla nostra vita di tutti i giorni, ad esempio sulle nostre tavole: il cambiamento climatico potrebbe cambiare radicalmente le nostre abitudini alimentari, anche in Italia. Alcuni alimenti iconici per la nostra gastronomia italiana, la cui disponibilità diamo per scontata, potrebbero divenire rari e costosi, oppure potrebbero provenire prevalentemente da importazioni estere, mentre alimenti esotici potrebbero divenire invece più convenienti e abituali”.

Come evidenziato nel report del WWF, il 2021 è stato anche definito “l’anno nero della frutta made in Italy”.

Nel corso dell’anno, infatti, si è registrato un calo medio della produzione di frutta pari al 27%. In altre parole: più di un frutto su quattro è andato perduto a causa degli effetti di eventi estremi e imprevedibili quali gelate, siccità e grandinate. Gli effetti si sono fatti sentire in modo diverso sulle diverse varietà di frutta, con pere e pesche fra le più danneggiate (-69% e -48% rispettivamente, rispetto alla produzione media dei cinque anni precedenti). E non è andata meglio per la frutta a guscio.

Critico anche il quadro relativo alla produzione olivicola che quest’anno segna un incremento del 15% rispetto all’anno precedente. Un dato che – si legge nel report – non è in realtà positivo come sembra. “L’olivo alterna annate di produzione scarsa ad annate di produzione abbondante; di conseguenza, la crescita del 15%, in un anno che doveva essere di alta produzione, è di molto inferiore alle attese. A ciò si aggiunga che si tratta di un dato medio nazionale, che nasconde ampie fluttuazioni regionali: a fronte di alcune regioni del Sud che hanno registrato incrementi produttivi comunque più o meno inferiori alle attese, vi sono regioni del Nord e Centro che hanno avuto cali disastrosi, fino al 60-80%”.

Di contro, la produzione di frutti tropicali sul territorio italiano, prioritariamente in Sicilia e, in misura minore, in Calabria e Puglia, sta facendo registrare un trend in costante crescita con superfici raddoppiate negli ultimi tre anni, soprattutto ad opera di giovani agricoltori.

Complessivamente, però, la regione mediterranea è oggi considerata uno degli “hot spot” del cambiamento climatico. Qui, infatti, il riscaldamento supera del 20% l’incremento medio globale e le precipitazioni, in contrasto con l’aumento generale del ciclo idrologico nelle zone temperate, continuano a diminuire. Com’è noto, l’Italia ha appena attraversato il decennio più caldo della sua storia.

“Si assiste a un incremento di oltre 1,1°C della temperatura media annua nel periodo 1981-2010 rispetto al trentennio 1971-2000. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da incrementi di temperatura piuttosto elevati. Il 2019 è stato, ad esempio, il terzo anno più caldo dall’inizio delle osservazioni (+1,56°C rispetto al trentennio 1961-1990), dopo i record già registrati nel 2018 e nel 2015”.

Accanto a incrementi della temperatura, aumentano poi gli eventi meteorologici estremi: ondate di calore, piogge intense, allagamenti costieri (si pensi al maltempo che ha travolto la Sicilia proprio una settimana fa).

A tal riguardo, stime recenti indicano che negli ultimi dieci anni gli eventi estremi sono costati al comparto agricolo 14 miliardi di euro, se si sommano danni a strutture, infrastrutture e produzioni.

Tra le altre conseguenze del cambiamento climatico, vanno poi annoverate l’espansione di nuove specie di vettori di malattia, il peggioramento della qualità dell’aria e il rischio incendi aggravato dalla siccità.

Come si traduce tutto questo in agricoltura?
Secondo il Report del WWF “2021 Effetto clima”, il rischio climatico per l’agricoltura può riguardare diversi effetti:
riduzioni di resa, principalmente per colture a ciclo primaverile-estivo;
possibile espansione verso Nord degli areali di coltivazione di alcune colture (come olivo e vite);
aumento dei fabbisogni idrici di alcune colture;
cambiamenti nelle proprietà nutrizionali dei cibi dovuti all’eccesso di CO₂;
diffusione di specie invasive e modifica nella distribuzione geografica e stagionale degli agenti e/o dei loro vettori;
• diversa disponibilità di pascoli e foraggi per l’allevamento;
• impatti negativi su produttività, crescita, sviluppo e riproduzione degli animali da reddito, sottoposti a stress da caldo per lunghi periodi dell’anno.

Ad oggi, le Strategie UE “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030” presentate il 20 maggio 2020 dalla Commissione UE dovrebbero rappresentare la vera svolta della politica agricola europea, fissando obiettivi misurabili per la riduzione degli input chimici di sintesi entro il 2030 (riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e del 20% dei fertilizzanti chimici) e per l’incremento della superficie agricola utilizzata certificata in agricoltura biologica (25% della SAU in biologico a livello UE).  Purtroppo, però, come ribadito nel report, gli obiettivi di queste due Strategie UE sono sotto attacco e la recente riforma della PAC post 2022 non li ha recepiti, rendendoli vincolanti per gli Stati membri. A questo punto la redazione del Piano Strategico Nazionale (PSN) della PAC post 2022 rappresenta l’ultima opportunità per perseguire con le risorse comunitarie gli obiettivi per contenere gli effetti del cambiamento climatico.

Per leggere il report completo, clicca qui.

Ilaria De Marinis
©fruitjournal.com

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