Impianti viticoli: un mondo di autorizzazioni

Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo, il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli è cambiato: quali sono le novità?

da uvadatavoladmin
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Con l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo, il sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli è profondamente cambiato. Analizzando la normativa, gli agronomi Marco Pierucci, Fabio Burroni e Michele Lotti Margotti dello Studio Associato “Agronominvigna” di Impruneta (FI) fanno il punto sulla questione, chiarendo punti critici e novità nell’ultimo numero di Fruit Journal.

Premessa

Il Regolamento UE n. 1308/2013 del 17 dicembre 2013 rappresenta uno spartiacque tra il passato e il presente. Nulla è più come prima dal 1° gennaio 2016, data dell’entrata in vigore del Regolamento comunitario. Da allora non si parla più di “diritti”, ma di autorizzazioni. Un cambiamento radicale che è stato necessario dirimere fin da subito con una apposita circolare ministeriale, pubblicata sul sito del Ministero dell’agricoltura inerente alla trasferibilità delle autorizzazioni in portafoglio. Se i diritti d’impianto erano un vero e proprio patrimonio aziendale, avente valore riconosciuto, stimabile e vendibile, le autorizzazioni seguono un’altra logica, quantomeno per quel che riguarda il concetto di proprietà e quanto da esso deriva.
Vediamo di seguito, nei limiti concessi da un articolo necessariamente sintetico sull’argomento, in cosa consistono le autorizzazioni e quali sono le conseguenze di tale sistema.

I contenuti principali del Reg. UE n. 1308/2013

Al Capo III di questo Regolamento è descritto il nuovo sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli.
Nell’articolo 61, relativo alla durata del sistema di autorizzazioni, è specificato che questo sistema si applica dal 1 gennaio 2016 fino al 31 dicembre 2030, ma il riesame intermedio della Commissione di fatto ha già prorogato al 2045 detta data di scadenza.

L’articolo 62 indica che sia l’impianto sia il reimpianto sono consentiti esclusivamente dietro concessione di un’autorizzazione da parte dello Stato membro previa richiesta da parte dei produttori corrispondente a una specifica superficie espressa in ettari. La validità delle autorizzazioni è fissata a tre anni dalla data di concessione, passati i quali il produttore ritardatario sarà soggetto a sanzioni amministrative a norma dell’articolo 89, paragrafo 4, del regolamento (UE) n. 1306/2013.

L’articolo 63 relativo al meccanismo di salvaguardia per nuovi impianti è incentrato sull’obiettivo dell’aumento ordinato degli impianti viticoli. Agli Stati membri viene conferito potere decisionale sull’erogazione di nuove autorizzazioni all’impianto nell’ambito del limite massimo dell’1% della superficie vitata totale nel loro territorio. All’interno di questa quota lo Stato membro è libero di limitare ulteriormente il rilascio di autorizzazioni a livello regionale sia per specifiche zone DOP, sia per zone IGP, oppure anche per zone che non hanno un’indicazione geografica. Eventuali limitazioni al tetto dell’1% che lo Stato membro dovesse scegliere di adottare devono essere esplicitamente motivate dalla volontà di evitare sia un’offerta eccedentaria di prodotti vitivinicoli in rapporto alle relative prospettive di mercato, sia una svalutazione di una particolare DOP o IGP.

L’articolo 64, relativo al rilascio di autorizzazioni per nuovi impianti viticoli da parte dello Stato membro, indica i criteri di ammissibilità per i richiedenti.

Inoltre, per lo Stato stesso, sono indicati i vari criteri di priorità con i quali le autorizzazioni sono concesse, secondo una distribuzione proporzionale degli ettari e in base alla superficie per la quale i richiedenti fanno richiesta.

L’articolo 66 regolamenta i reimpianti. Di fatto, dall’1 gennaio 2016 a chiunque faccia richiesta di estirpazione di una superficie vitata viene automaticamente concessa un’autorizzazione equivalente alla superficie estirpata in coltura pura. Detta autorizzazione viene concessa a patto che i richiedenti estirpino un’identica superficie vitata entro la fine del quarto anno dalla data in cui sono state impiantate nuove viti ed è utilizzabile solo dalla stessa azienda in cui è stata effettuata l’estirpazione.
Nelle superfici ammissibili per la produzione di vini a DOP o a IGP, gli Stati membri possono limitare il reimpianto alle superfici vitate conformi alla stessa specifica DOP o IGP della superficie estirpata, sulla base di una raccomandazione di un’organizzazione professionale ai sensi dell’articolo 65 (qui non riportato). Queste raccomandazioni rappresentano un’importante finestra di dialogo tra i territori di produzione e lo Stato stesso.

L’articolo 68, relativo alle disposizioni transitorie, prevedeva la convertibilità in corrispondenti autorizzazioni dei diritti d’impianto concessi anteriormente al 31 dicembre 2015 ancora in corso di validità e non ancora utilizzati dai produttori. Poiché gli Stati membri potevano consentire ai produttori di presentare questa richiesta di convertire i diritti in autorizzazioni entro il 31 dicembre 2020, tali autorizzazioni – qualora non siano utilizzate – scadono al più tardi non oltre il 31 dicembre 2023.

Ad aprire la sezione 2 e sancire i criteri di controllo del sistema di autorizzazioni per gli impianti viticoli è l’articolo 71.

In particolare, per gli impianti non autorizzati, questo articolo prevede che i produttori debbano estirpare a loro spese le superfici vitate prive di autorizzazione entro quattro mesi dalla data di notifica dell’irregolarità, pena sanzioni da stabilire in conformità con l’articolo 64 del regolamento (UE) n. 1306/2013. Qualora i produttori non procedano all’estirpazione entro quattro mesi dalla data di notifica dell’irregolarità, gli Stati membri assicurano l’estirpazione di tali impianti non autorizzati entro i due anni successivi alla scadenza del periodo di quattro mesi, sempre a spese dei produttori interessati.

Infine, l’articolo 81, relativo alle varietà di uve da vino utilizzabili, limita queste varietà soltanto a quelle che soddisfano le seguenti condizioni:

  • la varietà deve appartenere alla specie Vitis vinifera o deve provenire da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis;
  • sono escluse le varietà Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbemont.

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Caratteristiche delle autorizzazioni all’impianto

Una sostanziale differenza tra l’autorizzazione e il diritto d’impianto è relativa al fatto che, mentre il diritto era proprietà dell’azienda, l’autorizzazione è proprietà dello Stato membro. Basta questo per comprendere perché le autorizzazioni non possano più essere soggette a stima, in quanto non appartengono più al patrimonio aziendale.

Si è venuta inoltre a creare una netta distinzione tra il vigneto fisicamente inteso e la cosiddetta superficie rivendicabile, relativa – è bene precisarlo – alle sole superfici a DOC e DOCG. Una necessaria integrazione è utile quando ci troviamo davanti a disciplinari che prevedono sottozone o tipologie diverse. In questo caso la superficie rivendicabile è registrata con il solo nome della Denominazione (ad esempio “Chianti”), mentre la sua declinazione (ad esempio “Chianti Rufina”) sarà relativa alla posizione geografica e composizione ampelografica del vigneto al quale viene attribuita. Da questo – tecnicamente parlando – consegue una vera e propria coesistenza parallela delle due “specie” di superfici a cui occorre porre molta attenzione in fase di trasferimento dei vigneti.

In sostanza quando avviene un trasferimento, come ad esempio in una vendita, è bene tenere presente che le superfici rivendicabili devono essere esplicitamente indicate nel contratto d’acquisto parallelamente e distintamente alle superfici “fisiche” di vigneto. Ciò vale a dire che nel contratto di compravendita è necessario esplicitare oltre alle superfici di vigneto anche le superfici rivendicabili a DOC/DOCG, ricavabili dal fascicolo aziendale che fanno parte del trasferimento. Infatti, tutte le superfici non esplicitamente indicate quali rivendicabili s’intendono automaticamente IGT.

Conclusioni

Quello delle autorizzazioni all’impianto dei vigneti è veramente un mondo complicato. La situazione attuale è conseguenza della tensione esistente tra la politica più liberista di una parte dei Paesi europei e quella più conservativa degli Stati tradizionalmente produttori di vino.
La Comunità Europea non è stata finora pienamente capace di esprimere un parere collegiale in grado di dare stabilità a lungo termine al settore, ma ha agito rimandando semplicemente il blocco dei nuovi impianti viticoli dal 2030 al 2045. Una data ancora molto lontana, ma tale da impensierire, anche se forse solo superficialmente, alcune categorie di produttori. Infatti, se l’obiettivo a lungo termine fosse la liberalizzazione degli impianti, sarebbe messo a repentaglio quanto faticosamente costruito nell’ultimo secolo a favore delle Denominazioni di Origine (DO) europee.Una piena liberalizzazione rappresenterebbe un grosso problema per chi difende il valore dei propri vini sotto l’ombrello della Denominazione di appartenenza. E che forse risulterebbe meno grave per i produttori che hanno consolidato un proprio marchio personale attraverso una lunga attività di comunicazione e focalizzazione di mercato, ma che tuttavia costituiscono chiaramente una minoranza nel panorama vitivinicolo italiano. Non sappiamo se questo temuto passaggio avverrà davvero dopo il 2045, ma oggi è francamente difficile immaginare quali vantaggi possano derivare da una piena liberalizzazione dei vigneti, soprattutto alla luce dell’attuale eccesso di offerta rispetto alla reale domanda conseguente ai cambiamenti in atto nei consumi mondiali del vino.

A queste prospettive si unisce una legislazione molto articolata, generalmente gestita con difficoltà dalle aziende viticole che spesso rischiano di perdere parte del loro potenziale viticolo a causa delle scadenze rigide del sistema.

Da un punto di vista professionale, noi siamo nati nell’era dei “diritti di reimpianto”, ma ricordiamo che l’adozione della limitazione all’impianto dei vigneti ha storia antica risalente all’imperatore Diocleziano, che nel 92 d.C. vietò l’impianto dei nuovi vigneti nelle province, contemplando già da allora l’obbligo all’estirpazione della metà dei vigneti esistenti. Nel tempo questo tipo di provvedimenti ha subito delle grosse trasformazioni e i diritti di reimpianto hanno rappresentato per tanti anni una forma pubblica di pianificazione dell’attività privata.

Questo meccanismo di limitazione dell’offerta, pur con tutti i limiti ad esso connessi, ha permesso a molti vini a DO europei di potere essere riconosciuti e desiderati, consolidando il loro fascino nei consumatori di tutto il mondo. Tuttora beneficiamo di questo approccio lungimirante che quindi speriamo continui ancora a lungo a garantire i suoi effetti protettivi nei confronti dei vini di territorio più importanti per la nostra economia. In ogni caso, l’articolo 63 dell’attuale Regolamento incentrato sull’aumento ordinato degli impianti viticoli si rivela una premessa confortante.

 

A cura di: Marco Pierucci, Fabio Burroni e Michele Lotti Margotti
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