Il castagno europeo, Castanea sativa Mill., ha per lungo tempo dominato il panorama delle specie da frutto in guscio coltivate in Italia, insieme ad altre colture come mandorlo, nocciolo, pistacchio, noce e pino da pinoli. Oggi, però, la situazione della castanicoltura è drasticamente cambiata.
Agli inizi del Novecento, infatti, la produzione di castagne superava le 800mila tonnellate contro le 50 degli ultimi anni. A confermarlo, i dati del 2023 forniti da Ismea, che evidenziano un’ulteriore calo nella produzione con 43.000 tonnellate raccolte su circa 36.000 ettari di castagneti attivi.
Cause del calo produttivo nella castanicoltura
Il declino del comparto è stato rapido, causato principalmente dallo spopolamento delle zone di alta collina e media montagna, dove questa coltura aveva trovato il suo ambiente produttivo ideale. Per secoli, gli abitanti di queste aree montane hanno basato la loro economia su un’agricoltura di sussistenza, con la castagna al centro della dieta e delle attività agro-forestali. Con l’abbandono di queste aree, però, molti castagneti sono stati lasciati a loro stessi, diventando improduttivi e in molti casi irrimediabilmente compromessi.
A riprova i dati relativi agli ultimi 40 anni, periodo in cui la superficie dedicata alla coltivazione del castagno si è progressivamente ridotta del 50% con rese non sufficienti a garantire un reddito dignitoso ai produttori.
Le conseguenze della crisi sono evidenti. Da storica esportatrice, l’Italia è ora costretta a importare grandi quantità di castagne da Paesi come Francia, Austria, Spagna e Portogallo. Paesi che hanno saputo adattarsi alle nuove esigenze di mercato, introducendo modelli di coltivazione intensiva, basati sul concetto di “castagneto-frutteto”, garantendo una produzione costante sia per il mercato interno, sia per l’industria di trasformazione.
Ma il castagno può davvero adattarsi alle moderne tecniche colturali?
Nonostante l’Italia sia rimasta indietro in termini di tecniche di recupero dei castagneti, puntando principalmente sulla conversione di cedui tramite innesti, risulta sempre più urgente intraprendere un percorso di modernizzazione sull’esempio di altri Paesi europei.
L’introduzione di impianti moderni, una gestione meccanizzata e l’aumento della densità di piantagione sono sicuramente alcune delle strategie da poter adottare per favorire il ritorno alla coltivazione del castagno, rendendolo nuovamente una coltura attrattiva, anche per le nuove generazioni di imprenditori agricoli.
Affinché questo avvenga è importante adottare adeguate metodologie come l’adozione di tecniche di potatura mirate, la riduzione del periodo improduttivo giovanile e la scelta di sesti d’impianto regolari per agevolare l’uso di macchine operatrici che favoriscano una produzione più efficiente e remunerativa.
Inoltre, nonostante il castagno si adatti naturalmente alle aree collinari e pedemontane, nulla vieta di pensare a una castanicoltura moderna che potrebbe trovare spazio anche in terreni meno scoscesi, oggi destinati ad altre colture, come cereali e foraggere.
Tradizione vs innovazione
Nonostante l’evidente necessità di un processo innovativo che attraversi il comparto, resta pur sempre fondamentale riuscire a preservare le eccellenze locali, come le varietà che godono di certificazioni DOP e IGP, che rappresentano un patrimonio genetico e culturale da tutelare.
Il passaggio all’innovazione, quindi, non deve sacrificare i castagneti tradizionali, spesso secolari, che svolgono un ruolo insostituibile: contrastano il dissesto idrogeologico, ospitano una ricca biodiversità, forniscono risorse per l’apicoltura e offrono spazi per il turismo rurale, rappresentando un presidio territoriale insostituibile e una risorsa ecologica da proteggere.
In definitiva, i modelli di castanicoltura moderna e tradizionale possono coesistere e integrarsi, ma la priorità è quella di tornare a valorizzare il castagno come risorsa agricola ed economica. Investire nella castanicoltura significa puntare su uno sviluppo sostenibile, preservando le tradizioni del passato, ma guardando al futuro.
Federica Del Vecchio
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