Mandorlicoltura intensiva, per massimizzare la produttività della coltura serve il giusto approccio

da Redazione FruitJournal.com

L’azienda agricola Tarantini opera in agro di Corato e Ruvo di Puglia (BA) e occupa una superficie di circa 50 ettari.

In passato l’azienda era ad ordinamento cereali-colo-foraggero, prima di avviare una riconversione a vigneti ad uva da vino e colture frutticole (fico, ciliegio e mandorlo intensivo). Il mandorleto – con densità di impianto di circa 400 piante/ha – si estende su una superficie di oltre 35 ha ed è coltivato in biologico. “Si tratta di terreni di proprietà famigliare, in precedenza utilizzati come pascolo e successivamente trasformati in seminativo. Nel 2001 abbiamo deciso di puntare sul mandorlo intensivo, utilizzando i fondi europei POR-FESR. Inizialmente abbiamo impiantato 10 ettari di mandorleto e 2 ettari di ciliegeto”, ha dichiarato a Fruit Journal Andrea Tarantini, titolare dell’omonima azienda agricola. Attualmente in azienda sono presenti quattro diverse varietà di mandorlo: Genco, Filippo Ceo, Supernova e Ferragnes, tutte innestate su franco di mandorlo Don Carlo.

Ad eccezione della Ferragnes, sono tutte varietà autoctone, autocompatibili ed a fioritura tardiva. La Genco, insiste sul 40% dell’estensione totale del mandorleto, le altre varietà hanno un’incidenza del 20% ciascuna.“ Ci troviamo a circa 455 metri sul livello del mare, nel territorio delle Murge Baresi, dove il mandorlo riesce a massimizzare le sue caratteristiche produttive. I suoli ricchi di scheletro sono idonei per l’apparato radicale del portinnesto Don Carlo che, in terreni più pesanti e compatti soffre l’asfissia”, ha continuato. La decisione di impiantare mandorlo intensivo è stata dettata dall’improduttività dei vecchi impianti, ormai obsoleti. “Il mandorlo è stato sempre considerato una specie povera.

La coltura ha invece bisogno di parecchie cure ed accorgimenti in quanto è molto delicata: fiorisce in inverno e ci sono diverse variabili che incidono sulla sua produttività. In passato ci sono stati diversi problemi, legati ai prezzi di mercato molto bassi, all’inconsistenza degli impianti ed alle superfici che da noi sono estremamente frammentate. A mio avviso, però, una delle principali cause che hanno portato al collasso del settore della mandorlicoltura nel nostro Paese è stato il mancato ricambio generazionale all’interno della aziende agricole”, ha spiegato.

Mandorleto intensivo dell’Azienda Agricola Tarantini, in agro di Corato (BA).

L’irrigazione

La reinterpretazione attraverso i nuovi impianti intensivi e superintensivi ha rivoluzionato, di fatto, tutto il vecchio sapere legato alla coltura. Con gli impianti intensivi importante è stata l’adozione del sesto di impianto ampio per favorire la meccanizzazione, ma la variabile che maggiormente ha inciso sulla produttività è stata l’irrigazione, elemento imprescindibile per chi volesse avvicinarsi a questo tipo di coltivazione. In passato il mandorlo era condotto “in asciutto”, a causa della perenne carenza di acqua nei territori di produzione, fattore che obbligava i produttori a non impiantare un numero elevato di piante.“ L’investimento più importante che abbiamo condotto è stato proprio la creazione di un pozzo aziendale. I costi sono molto alti e la voce irrigazione incide molto sul bilancio finale. L’acqua è però fondamentale e solo grazie ad essa i terreni possono diventare produttivi e vocati per questa coltura”, ha affermato Tarantini. “Irrighiamo il mandorleto una volta ogni 4 giorni. I costi di gestione dell’impianto annualmente ammontano a circa 2.700 euro/ha, e di questi gli apporti idrici incidono per circa il 20%. Si tratta di un costo vivo che al suo interno contempla anche quelli dell’energia elettrica, pari a circa 15 euro/ora”. L’impianto di irrigazione presente in azienda è a goccia, con valvole automatiche. A seconda delle necessità, della stagione o delle fasi fenologiche viene modificata la frequenza e la portata degli interventi irrigui.

Potatura e raccolta: l’importanza della meccanizzazione

Un altro elemento che ha rivoluzionato l’approccio alla col-tura è stato la facile meccanizzazione di alcune operazioni colturali, tra le quali la potatura e la raccolta rappresentano voci importanti.“ Quando si realizza un nuovo impianto intensivo vengono messe a dimora piantine di 1,5-2 anni. In questa fase è fondamentale la potatura – ha continuato l’imprenditore agricolo – in quanto questa condiziona la produttività. A seconda del tipo di potatura possiamo raccoglie-re i primi frutti dopo 4 o 5 anni oppure dopo 8 o 9 anni”. L’altezza e la forma degli alberi sono definite dalla potatrice. Negli impianti intensivi, le piante raggiungono i 4 metri. “L’obiettivo principale è quello di meccanizzare il più possibile. Per tutte queste operazioni è fondamentale l’intervento di personale esperto”. Tra le operazioni colturali effettuate manualmente, invece, la spollonatura è una di quelle che richiede più tempo e viene effettuata tra maggio e giugno. Anche la raccolta avviene in modo meccanico, con scuotitori e reti gestite da una squadra di operatori. “A mio parere, è fondamentale realizzare impianti che permettano di poter lavorare più agevolmente con le macchine agricole, per sfruttare appieno le loro potenzialità”, ha precisato Tarantini.“Posso affermare che per i nuovi impianti, oltre all’irrigazione, anche l’assistenza tecnica altamente professionale e la manodopera specializzata sono elementi di fondamentale importanza. Purtroppo, una delle maggiori problematiche che riscontriamo è proprio la difficile reperibilità di persona-le qualificato. Avvalersi di manodopera specializzata ed assistenza tecnica competente è indispensabile per raggiungere il massimo della produzione. Si deve abbandonare l’idea che il produttore debba saper fare tutto. Invece di sostituirsi, è importante che l’imprenditore agricolo individui le persone giuste e sia in grado di coordinarle o confrontarsi con esse”.

Dettaglio della fruttificazione.

La commercializzazione

Tarantini non commercializza al dettaglio, ma conferisce il suo prodotto, previa smallatura effettuata in azienda, ai trasformatori e all’ingrosso. Il seme viene venduto sia con il guscio che senza, a seconda delle richieste di mercato. Le epoche di raccolta variano a seconda delle varietà. “Ci sono due file per varietà e questo serve a favorire l’impollina-zione”, ha continuato. La raccolta ha inizio con la Supernova, (o Tuono), varietà che nel territorio delle Murge si raccoglie durante i primi giorni di settembre. Seguono la Ferragnas, la Genco e la Filippo Ceo. Le ultime due si raccolgono nello stesso periodo. Per tali varietà non sono presenti royalties all’impianto o alla commercializzazione. La Filippo Ceo è considerata a livello mondiale la migliore per la realizzazione della pasta di mandorle, all’interno della quale, per ottenere un impasto omogeneo e un gusto equilibrato, si tende ad aggiungere anche qualche mandorla più amarognola della varietà Genco.“La mandorla della Murgia Barese è considerata una delle migliori al mondo per le sue proprietà organolettiche. Due anni fa il seme di mandorla ha superato i 10 euro/ kg, mentre attualmente (27 luglio 2017, data dell’intervista, ndr) le quotazioni si aggirano attorno ai 5,50 euro/kg”, ha precisato.

Conclusioni

Irrigazione, assistenza tecnica professionale e manodopera specializzata rappresentano elementi fondamentali per rendere competitiva questa coltura. “In azienda installeremo un banco di fertirrigazione ed impianteremo 10 ettari di oliveto superintensivo. Sono convinto che il futuro del settore agricolo sarà caratterizzato quasi esclusivamente da impianti ad alta densità”, ha concluso Tarantini.

 

 

Autore: La Redazione

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