Nell’ottica di realizzare produzioni sempre più sostenibili e ridurre l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente, diverse sono attualmente le tecniche oggetto di studio. Tra le innovazioni giunte negli ultimi anni in questa direzione, rientra l’uso di biochar come mezzo per migliorare la qualità dei suoli. Ancora scarsamente impiegato e poco noto, il biochar necessita di ulteriori approfondimenti, sebbene i primi studi abbiano già prodotto risultati interessanti sulla sua efficacia.
Il biochar è un materiale eterogeneo, le cui caratteristiche fisico-chimiche sono influenzate dal materiale di partenza, dal tipo di processo usato per la sua produzione e dalle condizioni pedo-climatiche di utilizzo.
In linea generale, però, l’ottenimento di questo materiale avviene per pirolisi, un processo che prevede il riscaldamento di biomassa organica in assenza di ossigeno.
Durante il processo di produzione del biochar, una quota di carbonio vegetale viene “intrappolata” per carbonificazione. Una parte di questo carbonio, presente nel biochar in forma inorganica, viene persa in poche settimane. Un’altra, presente in forma labile, viene mineralizzata lentamente negli anni e un’altra parte ancora, che si trova in forma stabile, permane nel suolo per diverse centinaia di anni. Nella maggior parte dei casi, il 90% del carbonio presente nel biochar – ottenuto da biomassa vegetale – è quello in forma stabile. Una percentuale che permette di considerare questo materiale una strategia valida per mitigare i fenomeni di cambiamento climatico, contribuendo anche alla riduzione delle emissioni di gas serra.
In campo agricolo e ambientale, infatti, il biochar contribuisce a migliorare la qualità dei suoli e dei prodotti agricoli e favorisce l’assorbimento dei contaminanti riducendo la loro presenza nei suoli. Di questi e di tutti gli altri vantaggi derivanti dall’uso di questo materiale se ne parla in uno studio che, condotto da un team di ricercatori in Romania, ha così posto nuova attenzione.
Quali risultati?
Ricco di carbonio, il biochar ha ricevuto grande attenzione negli ultimi tempi. Tra le sue caratteristiche principali si annoverano l’elevata superficie specifica, la porosità, l’elevata capacità di scambio cationico e la stabilità chimica e biologica, che gli consentono di immobilizzare i contaminanti del suolo. Usato come ammendante del suolo, può inoltre incrementare il contenuto di nutrienti e la resa delle colture, migliorare le proprietà e la consistenza del suolo, ridurre le emissioni di gas serra e migliorare l’assorbimento dei contaminanti organici.
Tra i risultati della ricerca è emerso che:
- il biochar migliora la qualità del suolo, ripristina le proprietà fisiche, chimiche e biologiche e aumenta lo stoccaggio di carbonio;
- il biochar riduce la lisciviazione e la biodisponibilità dei prodotti fitosanitari presenti nel suolo;
- il tipo di materia prima e le condizioni di pirolisi sono fattori dominanti sull’ottenimento del biochar.
La normativa europea e nazionale non ha ancora terminato di dare risposte relative all’uso di questo strumento. Analogamente, prosegue il lavoro da parte dei ricercatori per comprendere meglio alcune tematiche correlate. Come suggerito dal team di ricerca rumeno, infatti, sempre più necessari appaiono oggi studi volti a:
- definire linee guida e protocolli per la produzione di biochar, ad oggi molto costosa;
- eseguire test volti a valutare l’efficacia e le probabili controindicazioni dell’uso di biochar in campo e non in serra;
- utilizzare biochar inoculato con particolari microrganismi;
- approfondire il processo di invecchiamento del biochar;
- valutare i rischi ambientali correlati alle applicazioni di biochar;
- implementare il biochar in ambito agricolo in relazione al trasporto in azienda, alle strutture di stoccaggio e alla dispersione nel suolo;
- sviluppare strategie riabilitative che devono essere finanziariamente sostenibili, praticamente possibili e culturalmente ammissibili;
- eseguire analisi tecnico-economiche delle applicazioni di biochar durante lunghi esperimenti sul campo.
Insomma, di lavoro da fare ce n’è ancora molto, ma la strada sembra esser stata avviata e, stando ai primi risultati della ricerca, se proseguita, potrebbe presto offrire a produttori e tecnici un nuovo, interessante strumento.
Silvia Seripierri
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