Carciofo, come gestire concimazione e irrigazione

Con i ricercatori del Di3A dell'Università degli Studi di Catania approfondiamo aspetti e vantaggi di una corretta gestione della coltura

da uvadatavoladmin
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Il carciofo è una pianta ben adattata al clima mediterraneo. La corretta gestione della coltura, dalla lavorazione alla scelta del materiale di propagazione, non solo rende l’ambiente di coltivazione consono alle esigenze della coltura, ma verosimilmente contribuisce a rendere la coltura più sostenibile. Ne abbiamo parlato nell’ultimo numero di Fruit Journal.

Il carciofo (Cynara cardunculus L. subsp. scolymus (L.)) è una pianta erbacea poliennale, appartenente alla famiglia delle Asteraceae (ex Compositae) e originaria del bacino del Mediterraneo, con habitus a rosetta, coltivata per la produzione di infiorescenze, chiamate capolini o calatidi, caratterizzate da forma, dimensione, consistenza e colorazione differenti in rapporto alla varietà, all’ambiente di coltivazione e all’epoca di formazione del capolino (Fig. 1). Con una superficie destinata alla coltivazione del carciofo pari a 38.166 ettari e una produzione totale pari a 3.858.065 quintali (ISTAT, 2022), l’Italia è il Paese più importante al mondo per la cinaricoltura, rappresentando circa il 39% della produzione mondiale (FAOSTAT, 2020). In Italia è coltivato principalmente in Sicilia, Puglia e Sardegna, che insieme rappresentano il 90% della superficie totale coltivata e l’85% della produzione nazionale.

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Superficie e resa del carciofo coltivato in Italia (ISTAT, 2022)

La sopravvivenza e la propagazione della pianta di carciofo è affidata, oltre che ai semi, alle gemme presenti sulla porzione basale del fusto e sui rizomi.

L’apparato radicale delle piantine provenienti da seme (chiamato achenio in botanica) è rappresentato da una radice principale fittonante, di consistenza carnosa, e da numerose radici secondarie. Diversamente, l’apparato radicale delle piante provenienti da organi vegetativi (ovolo, carduccio o piantina micropropagata) è costituito da una dozzina di radici avventizie fibrose che con il passare del tempo diventano carnose, si ingrossano (le radici più piccole scompaiono), perdendo la funzione assimilatoria e assumendo quella di riserva. Il carciofo richiede un clima mite e sufficientemente umido, per cui il suo ciclo è autunno-primaverile nelle condizioni climatiche del bacino del Mediterraneo, e primaverile-estivo nelle zone più fredde.

Ordinariamente il carciofo viene propagato per via vegetativa (agamica). Gli organi maggiormente utilizzati sono: carducci, ovoli, ovoli sprovvisti di gemma apicale, parti di ceppaia, ovoli radicati e piantine ottenute da micropropagazione in vitro. La pianta di carciofo presenta un’ampia adattabilità pedoclimatica, anche se preferisce terreni di medio impasto, ben drenati e con pH compreso tra 6,4 e 7 (Bianco, 1990). È molto sensibile ai ristagni idrici che si possono verificare durante la stagione delle piogge. Specialmente nei terreni argillosi, si rende pertanto necessaria un’accurata sistemazione al fine di facilitare lo sgrondo dell’acqua. L’ottenimento di una buona produzione, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo, richiede altresì un’idonea concimazione, opportunamente integrata dall’irrigazione. Una insufficiente disponibilità di elementi nutritivi può causare, infatti, una riduzione dell’accrescimento e una produzione di capolini piccoli, con brattee divergenti e stelo fiorale corto ed esile. Un corretto programma di concimazione deve, ovviamente, tenere conto delle caratteristiche del terreno e della sua dotazione in elementi nutritivi, nonché delle asportazioni della coltura e delle caratteristiche meteorologiche.

Concimazione e piano di fertilizzazione

Atteso che la coltivazione del carciofo ancora oggi risulta poliennale, il piano di fertilizzazione deve tenere conto della distinzione in primo anno e anni successivi a quello dell’impianto. Nel primo anno la concimazione inizia a distanza di circa 20 giorni dall’impianto, quando cioè le piantine sono in grado di utilizzare al meglio gli elementi minerali apportati. Normalmente vengono distribuiti 30-40 kg di azoto per ettaro, sotto forma ammoniacale o ureica (Graifenberg e Mauromicale, 2009). Il secondo intervento viene effettuato tra la seconda e terza decade di settembre, distribuendo ulteriori 60-70 kg di azoto per ettaro in forma ammoniacale. Il terzo intervento viene eseguito in prossimità dello sviluppo dello stelo fiorale, distribuendo ulteriori 30-40 kg di azoto per ettaro in forma ammoniacale e altrettanti di K2O. Negli anni successivi la concimazione inizia nella prima decade di agosto: in questa occasione viene distribuita l’intera quantità di fosforo (60-70 kg di P2O5/ha) e due terzi di quella del potassio (80-90 kg di K2O/ha). Successivamente si procede con l’irrigazione necessaria per il risveglio vegetativo della carciofaia. Subito dopo la scarducciatura vengono distribuiti 90-100 kg di azoto per ettaro in forma ammoniacale. L’ultimo apporto di nutrienti (N e K2O) avviene, con le stesse quantità e modalità descritte per il primo anno di impianto, in prossimità dell’emissione dello stelo fiorale (Graifenberg e Mauromicale, 2009). La distribuzione dei concimi può essere effettuata per via fogliare o per fertirrigazione. In entrambi i casi devono essere utilizzati concimi solubili. Un limite all’adozione delle fertirrigazioni è la difficoltà di intervenire nei periodi invernali piovosi. Al contrario, è facilmente realizzabile nelle carciofaie risvegliate precocemente con l’irrigazione durante i periodi estivi siccitosi.

Le esigenze idriche della coltura

L’irrigazione è una tecnica indispensabile, soprattutto nella coltivazione del carciofo precoce. Essa, infatti, consente di anticipare in estate (luglio-agosto) l’impianto o il risveglio vegetativo, permettendo di ottenere una buona produzione precoce, a partire dai mesi autunnali nelle varietà autunnali, e tra fine febbraio-inizio marzo nelle varietà primaverili. Per la carciofaia impiantata in estate, mediante ovoli o piantine da seme o piantine micropropagate, è sempre necessario irrigare il terreno prima e dopo la messa a dimora degli ovoli stessi. Successivamente, le irrigazioni saranno effettuate seguendo turni variabili in rapporto alla tessitura dei terreni e al decorso dell’evapotraspirazione potenziale, fino al sopraggiungere delle piogge autunnali. Interventi irrigui possono rivelarsi necessari anche durante gli inverni poco piovosi, mentre nei mesi primaverili diventano indispensabili per realizzare una eventuale produzione tardiva o per non compromettere la produzione dei capolini destinati all’industria di trasformazione. Durante la maturazione, se non si verificano precipitazioni in grado di soddisfare le elevate esigenze idriche della coltura, l’irrigazione diviene pratica indispensabile per sostenere gli elevati ritmi di accrescimento dei capolini e per garantirne buone caratteristiche qualitative. In questo periodo, infatti, eventuali carenze idriche, oltre a riflettersi negativamente sulle rese complessive, possono accelerare i processi di senescenza dei capolini, determinando una precoce colorazione violetta delle brattee interne e un rapido accrescimento degli abbozzi fiorali e del pappo fiorale, che ne deteriorano la qualità commerciale. Un modo agevole ed efficace per il calcolo del volume di adacquamento può essere dedotto partendo dalla stima dell’evapotraspirazione massima della coltura mediante il metodo evaporimetrico.

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Coefficienti colturali (Kc) di una tipica varietà autunnale

Per quanto riguarda la distribuzione dell’acqua, considerato che l’infiltrazione laterali da solchi richiede grandi portate di acqua ed elevati volumi stagionali, i metodi più usati sono quelli per aspersione e per microirrigazione realizzati sia con impianti mobili che fissi.

L’aspersione a mezzo irrigatori giranti semoventi è da praticare con molta attenzione, specialmente nei nuovi impianti effettuati a mezzo ovoli, poiché la disformità nella distribuzione dell’acqua può determinare eccessive fallanze ed eterogeneità nello sviluppo delle plantule. Accanto a questo metodo va sempre più diffondendosi e consolidandosi la micro-irrigazione, la cui realizzazione più nota è l’irrigazione a goccia. Questo metodo risulta vantaggioso sia sotto l’aspetto fisiologico, perché favorisce la radicazione degli ovoli, sia per i minori consumi di acqua. Inoltre, può essere utilizzato in tutte le situazioni, specialmente nei terreni leggeri o superficiali con bassa capacità idrica, in condizioni di disponibilità idriche ridotte e tendenzialmente salmastre. Con acqua tendenzialmente salmastra è consigliabile aumentare i volumi di adacquamento per favorire la lisciviazione dei sali in eccesso.

Concludendo, appare dunque evidente come la corretta gestione della carciofaia non solo permette di soddisfare a pieno le esigenze della coltura, ma verosimilmente contribuisce a rendere la produzione più sostenibile e di qualità.

 

A cura di: Gaetano Pandino, Sara Lombardo, Giovanni Mauromicale – Dipartimento di Agricoltura, Alimentazione e Ambiente (Di3A), Università degli Studi di Catania

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