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Lo avevamo anticipato ad aprile, quando le prime analisi lasciavano intravedere una campagna cerasicola tutt’altro che semplice. E lo abbiamo ribadito a maggio, raccontando una partenza in salita tra incertezze climatiche e preoccupazioni qualitative. Oggi, con la stagione delle ciliegie ormai alle spalle, possiamo dirlo con chiarezza: il bilancio 2025 conferma in pieno quanto previsto nei mesi scorsi. “Non abbiamo fatto niente. È stata, commercialmente parlando, una delle peggiori campagne che io ricordi” – ha raccontato senza giri di parole Vito Valenzano, commerciale dall’esperienza trentennale nel comparto e General Manager di Fra.Va. Srl., società ortofrutticola pugliese.
Le difficoltà legate alla fioritura disomogenea, alle condizioni climatiche sfavorevoli e a un mercato tutt’altro che stabile hanno inciso profondamente sull’annata, riducendo le rese e complicando la commercializzazione. Ma la campagna 2025 non è stata solo un susseguirsi di ostacoli: è stata anche una prova per molti produttori, una stagione che ha messo in luce criticità strutturali di un intero comparto che va ripensato. “Ogni anno che passa, la vedo sempre più difficile: nessuno ci crede più, nessuno investe. E senza investimenti, il comparto è destinato a scomparire”.
Volumi ridotti, prezzi alti, effetto clima: cosa resta della stagione delle ciliegie
La stagione delle ciliegie 2025 si chiude con un bilancio severo: produzione ridotta drasticamente, difficoltà nella commercializzazione e prezzi fuori portata per il mercato di massa. “Gli ettari coltivati si sono ridotti, e dove gli alberi sono sopravvissuti, l’allegagione è stata disastrosa: il 50-60% al massimo”, spiega Valenzano. Il risultato? Un prodotto carente, difficile da trovare sugli alberi e ancora più difficile da vendere.
A determinare questo scenario, una combinazione di fattori climatici sfavorevoli: gelate primaverili, umidità persistente e un clima sempre meno adatto alle varietà tradizionali. Le poche ciliegie arrivate a maturazione erano spesso di buona qualità, ma la scarsità ha portato i prezzi a livelli tali da renderle inaccessibili per il grande pubblico. “Sì, i prezzi sono stati alti, ma fin troppo: per noi commerciali non era più sostenibile. E il prodotto è diventato di nicchia”.
I prezzi spuntati dai produttori sono stati storicamente alti, ma non sufficienti a salvare la filiera. “Con quei prezzi, non eravamo più competitivi con la Spagna o la Turchia. Abbiamo perso soldi per rispettare i programmi, per rispondere ai produttori, ma commercialmente è stata un’annata disastrosa”.
Sulla stagione delle ciliegie 2025 pesa l’immobilità del comparto
Il cuore del problema, però, non è solo climatico. È anche strutturale e varietale. “Abbiamo smesso di credere nelle ciliegie”, denuncia Valenzano. “La Ferrovia è buonissima, ma non produce tutti gli anni. E se il produttore fa 20 quintali per ettaro, è costretto a chiedere prezzi altissimi. Così non siamo più competitivi”. Le varietà precoci come la Bigarreau, invece, non reggono la lavorazione meccanica. “È una ciliegia morbida, dalla shelf-life corta: serve solo per iniziare, ma oggi non è più adatta”. E tuttavia, mentre altri paesi iniziano a puntare su varietà nuove, produttive, resistenti, in Italia ci si aggrappa a un patrimonio genetico ormai obsoleto.
Tornare a investire
All’estero si investe, in Italia si arretra. “Eravamo noi i pionieri, ora gli altri ci hanno superati. Realtà come Germania, Svizzera, Belgio stanno piantando nuove varietà, grazie anche agli effetti del cambiamento climatico che ora favoriscono la coltivazione delle ciliegie anche in areali prima impensabili. Si pensi al Trentino, dove oggi, a 2.000 metri di quota, si iniziano a produrre le ciliegie’”. Un ribaltamento che evidenzia l’inadeguatezza nel reagire all’evoluzione del comparto.
Nel Sud Italia, invece, prevale l’immobilismo. Manca la volontà – o la fiducia – di investire in nuovi impianti, varietà più produttive e strutture di protezione. invece, si continua a non investire: né in impianti, né in varietà, né in protezioni. “Chi coltiva su impianti vecchi non ci mette più un euro. E ha anche ragione. Ma chi pianta da zero può permettersi anche le strutture. Se sai che ti tornano 150 quintali per ettaro, allora la copertura ha un senso”. La differenza sta proprio in questo: in chi riesce a fare sistema tra produzione, innovazione e protezione. Dove il ritorno è possibile, l’investimento si sblocca.
E la filiera, in tutto questo, resta spezzata. “Nell’uva, quasi tutti i commercianti hanno anche una produzione propria. Nelle ciliegie no. Ed è uno dei grandi limiti del comparto. Noi commerciali, che abbiamo più forza, dovremmo dare il buon esempio: investire in prima persona, fare piccoli impianti, metterci la faccia. Solo così possiamo sperare che anche i produttori tornino a crederci”. E non è solo una dichiarazione d’intenti: “Io ho già iniziato a fare delle prove. Perché se restiamo fermi, il comparto muore”.
Resettare tutto e ripartire da zero
La fotografia del 2025 è dura, ma chiara. La ciliegia pugliese resta apprezzata, richiesta, riconoscibile. Ma senza un cambio di rotta concreto, rischia di diventare un prodotto marginale, più da raccontare che da raccogliere. “Non voglio essere negativo, ma se non cambiamo ora, saremo gli ultimi” – conclude Valenzano.
E allora serve ripartire. Non per nostalgia, ma per visione. Con nuove varietà, nuovi impianti, nuove sinergie tra chi produce e chi vende. Servono investimenti, sì, ma anche assunzione di responsabilità. Perché se a crederci per primi non sono gli attori forti della filiera, sarà difficile convincere gli altri. E questo patrimonio – agricolo, economico, culturale – rischia davvero di perdersi.
Ilaria De Marinis
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