Dissalatori in Sicilia: una soluzione alla siccità?

Cinque impianti nuovi in arrivo e 290 milioni di euro da investire per contrastare la siccità sull'Isola. Ma sono davvero utili? E quali rischi comportano?

da Ilaria De Marinis
dissalatori in sicilia

In Sicilia l’acqua è diventata un miraggio. Con invasi sotto il 20% della loro capacità, agricoltori costretti a razionare l’irrigazione e un clima sempre più impietoso, l’Isola affronta la peggiore crisi idrica degli ultimi trent’anni. La primavera 2025 è iniziata sotto l’ombra lunga della siccità, e il comparto agricolo, colonna portante dell’economia regionale, è il primo a pagarne il conto. In questo scenario, si torna a parlare con insistenza dei dissalatori. In Sicilia non sono una novità assoluta: ce ne sono già, da tempo, tre – a Gela (CL), Trapani e Porto Empedocle (AG) – ma sono fermi da anni. Adesso però la Regione vuole rilanciarli e costruirne di nuovi.

Il piano è ambizioso: cinque impianti nuovi in arrivo e 290 milioni di euro da investire. È una scommessa coraggiosa, che potrebbe cambiare gli equilibri idrici dell’Isola. Ma come ogni scommessa, ha i suoi rischi.

Cosa sono i dissalatori

I dissalatori sono impianti capaci di trasformare l’acqua di mare in acqua dolce. Funzionano grazie a processi fisici (come l’osmosi inversa) che filtrano il sale e le impurità, rendendo l’acqua potabile o comunque utilizzabile per alcuni usi agricoli. Non si tratta di una tecnologia nuova, ma oggi è al centro dell’attenzione per la sua capacità di “creare” acqua in territori dove piove sempre meno e le riserve naturali sono allo stremo. In pratica, i dissalatori permettono di aggirare la dipendenza da invasi e falde, sfruttando una risorsa che circonda completamente l’Isola: il mare.

L’acqua prodotta da questi impianti può essere utilizzata in diversi modi, ma non tutta è automaticamente adatta per l’irrigazione: dipende dalla qualità del trattamento, dal tipo di colture e da eventuali correttivi aggiunti dopo la desalinizzazione. Alcune colture più resistenti (come le olive o certe varietà di vite) potrebbero adattarsi meglio; altre, più delicate, no.

È poi una questione di scala: i dissalatori non sono pozzi infiniti. Producono quantità importanti, ma non illimitate. E per rendere quell’acqua disponibile dove serve – e quindi anche nei campi – servono infrastrutture di distribuzione funzionanti, che oggi spesso mancano o perdono oltre il 40% del contenuto lungo la strada.

Inoltre, il processo richiede molta energia: più ce n’è, più acqua si può ottenere. 

dissalatori sicilia

Dissalatore di Porto Empedocle

Una speranza per l’agricoltura siciliana?

Per chi lavora la terra, la domanda è una sola: “Ma quest’acqua si potrà davvero utilizzare?”. E qui viene la nota dolente. L’acqua desalinizzata è costosa: secondo le stime più attendibili, produrre un metro cubo d’acqua costa infatti tra 0,60 e 1 euro. Troppo, se si considera che l’irrigazione delle colture più comuni del territorio – dagli agrumi all’uva da tavola – richiede migliaia di metri cubi all’anno. A conti fatti, oggi, irrigare con acqua desalinizzata potrebbe essere quindi insostenibile per buona parte delle aziende agricole, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni.

Inoltre, l’acqua dei dissalatori non è sempre adatta all’uso agricolo senza ulteriori trattamenti. I nutrienti disciolti, la salinità residua e il pH alterato possono influenzare negativamente le colture, in particolare quelle più sensibili. Serve quindi una filiera tecnica precisa, un controllo di qualità costante e costi ulteriori per rendere davvero fruibile quest’acqua.

Rischi ambientali e consumi energetici

Un altro nodo cruciale è quello ambientale. Come anticipato, i dissalatori consumano molta energia e se questa non è rinnovabile, l’impatto ambientale aumenta. Inoltre, la salamoia residua (quella che viene “spinta fuori” insieme al sale) è molto concentrata e viene spesso riversata in mare, con potenziali danni agli ecosistemi marini.

Insomma, risolvere il problema siccità potrebbe significare crearne un altro: l’inquinamento. E non è un dettaglio.

Allora i dissalatori sono inutili? No. Ma non bastano.

I dissalatori non sono una bacchetta magica, ma possono diventare uno strumento utile, se inseriti in una strategia più ampia. Per l’agricoltura, in particolare, potrebbero avere un ruolo specifico in contesti dove l’acqua dolce è del tutto assente, o per alcune colture ad alta redditività che giustificano il costo elevato. Potrebbero rivelarsi preziosi anche in momenti di emergenza idrica, quando ogni litro conta.

Ma da soli non bastano. La vera partita si gioca sulla manutenzione delle reti idriche (oggi colabrodi: si stima che oltre il 40% dell’acqua venga dispersa lungo il tragitto), sul riutilizzo delle acque reflue trattate, sulla raccolta delle acque piovane e sul sostegno all’innovazione in agricoltura (come l’irrigazione di precisione o l’introduzione di colture meno idroesigenti).

La transizione agricola passa per l’acqua

D’altronde, chi lavora la terra lo sa: senza acqua non si produce, non si resiste, non si vive. E se il clima cambia, bisogna cambiare anche l’agricoltura. In tal senso, l’arrivo dei dissalatori in Sicilia può essere una buona notizia, ma solo se non diventa un alibi per rimandare le vere riforme.

A riguardo, sul fronte politico, il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani ha definito i dissalatori “una priorità strategica per l’autonomia idrica dell’Isola”, annunciando lo stanziamento di 290 milioni di euro per riattivare gli impianti esistenti e costruirne di nuovi. A fargli eco l’assessore regionale all’Energia, Roberto Di Mauro, che ha parlato di “emergenza strutturale” e di un “cambio di passo necessario” per garantire acqua anche all’agricoltura, oggi fra i settori più esposti. Ma non mancano voci critiche: il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, intervenuto più volte sulla gestione delle risorse idriche, ha infatti sottolineato come i ritardi e l’inerzia amministrativa abbiano contribuito ad aggravare una crisi che “non è più un’eccezione, ma la nuova normalità”. 

A ben vedere, insomma, le parole non mancano. Intanto, però, i campi e i produttori siciliani continuano ad aspettare i fatti.

Ilaria De Marinis
©fruitjournal.com

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