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Chi coltiva ciliegie lo sa bene: tutto può andare alla perfezione durante la stagione, ma basta una pioggia al momento sbagliato perché il raccolto venga compromesso. È il cosiddetto cracking, lo spacco del frutto, un fenomeno che può colpire anche il 90% delle ciliegie mature. Si verifica principalmente durante la fase avanzata della maturazione, quando l’epicarpo della ciliegia, ormai al limite della sua elasticità strutturale, è soggetto a un rapido assorbimento di acqua. Questo ingresso idrico avviene per via transcuticolare o attraverso microlesioni preesistenti, determinando un incremento della pressione interna nei tessuti parenchimatici. Quando questa pressione supera la resistenza meccanica della buccia, si generano fratture visibili, spesso a propagazione radiale. Non è necessario che si verifichi una precipitazione intensa: anche l’elevata umidità atmosferica o la semplice condensa superficiale possono indurre assorbimento passivo e innescare il processo di fissurazione.
Per contrastare questo fenomeno, negli ultimi anni, importanti progressi sono stati compiuti nella selezione varietale da parte di breeder e vivaisti, che hanno sviluppato cultivar più tolleranti al cracking grazie a una maggiore elasticità della buccia e a una diversa composizione cuticolare. Questi avanzamenti genetici rappresentano una risorsa preziosa per i produttori, sebbene non ancora risolutiva. In parallelo, anche in areali come quelli pugliesi, si è diffusa l’adozione di sistemi di protezione che limitano l’impatto diretto delle precipitazioni e dei danni meccanici. Questi strumenti senza dubbio limitano le conseguenze del fenomeno, ma la minaccia non è del tutto scongiurata, poiché l’umidità ambientale e i micro-stress fisiologici continuano a rappresentare fattori critici, soprattutto in un contesto climatico sempre più instabile.
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Non solo cracking
Accanto al fenomeno del cracking, un’ulteriore criticità rilevante per il comparto cerasicolo riguarda la gestione della fase post-raccolta, particolarmente complessa per un frutto altamente deperibile come la ciliegia. Una volta distaccato dal peduncolo, il frutto interrompe i flussi fisiologici che ne garantiscono l’idratazione e l’equilibrio osmotico, innescando processi degradativi rapidi e spesso irreversibili. Il calo di turgore cellulare, causato dalla naturale perdita di acqua per traspirazione, si traduce in una perdita progressiva della croccantezza e della consistenza della polpa.
Parallelamente, si osserva un’alterazione della brillantezza dell’epicarpo, dovuta alla disidratazione degli strati cuticolari esterni e alla degradazione dei pigmenti fenolici e antocianici. Quest’ultima è aggravata da fattori ambientali come l’esposizione all’ossigeno, alla luce e a oscillazioni termiche, che attivano enzimi ossidativi (tra cui polifenolossidasi e perossidasi) responsabili dello scurimento e del decadimento visivo.
In condizioni ambientali standard (20–22 °C), la shelf-life delle ciliegie si limita a pochi giorni, mentre in atmosfera controllata a basse temperature (2 °C e umidità relativa 90-95%) può essere estesa fino a 10–15 giorni. Tuttavia, la conservabilità dipende strettamente dalla qualità fisiologica iniziale del frutto e dalle tecniche colturali adottate. Per questo motivo, negli ultimi anni si è intensificata la ricerca su trattamenti pre-raccolta in grado di migliorare la resistenza tissutale e la stabilità biochimica del frutto, al fine di rallentare i processi di senescenza e preservarne le qualità organolettiche e nutraceutiche durante la conservazione.

Composizione nutraceutica delle ciliegie dolci “Regina” durante un test di shelf-life di 14 giorni. ( A ) TPC ( n = 9). ( B ) TAC ( n = 9). I risultati sono la media ± ES. I gruppi che condividono le stesse lettere non sono statisticamente diversi, secondo un’ANOVA a due vie (trattamento × punto temporale). Significatività statistica a p < 0,001 per TAC mediante il test LSD di Tukey. Fonte: Horticulturae
Cracking e post-raccolta: spunti da una ricerca tutta italiana
Proprio per affrontare cracking e deperibilità, due ricercatrici dell’Università di Torino, Alice Varaldo e Giovanna Giacalone, hanno condotto uno studio pionieristico in un ceraseto del Cuneese, nella zona di Lagnasco. Nello specifico, è stato testato un approccio agronomico innovativo: trattare le piante con specifici prodotti fogliari a base di calcio, potassio e azoto, somministrati in diversi momenti chiave della stagione.
L’idea di fondo è semplice, ma efficace: rafforzare la pianta dall’interno, irrobustendo la buccia del frutto e migliorandone la struttura, in modo che sia più resistente all’acqua e mantenga più a lungo le sue qualità. Non si tratta quindi di “curare” il problema, ma di prevenirlo, intervenendo prima che il danno si manifesti.
Cosa hanno scoperto
I risultati sono stati molto incoraggianti. Le piante trattate hanno mostrato una crescita più vigorosa e un’attività fotosintetica maggiore, ma soprattutto hanno prodotto un numero significativamente maggiore di ciliegie con calibro da 28 millimetri, dimensione “premium” che i mercati preferiscono. E nonostante le dimensioni più grandi, le ciliegie trattate si sono spaccate meno: il cracking è stato dimezzato rispetto alle piante non trattate.
Le analisi dopo la raccolta hanno inoltre confermato che queste ciliegie perdono meno peso, mantengono meglio la compattezza e conservano più a lungo colore e proprietà nutrizionali. Gli antociani e gli antiossidanti si sono mantenuti più stabili, a conferma che i frutti erano non solo più belli, ma anche più ricchi di sostanze benefiche.
Un approccio moderno e sostenibile
Lo studio sembra così confermare come, con le giuste strategie nutrizionali, si possono ottenere frutti migliori, più resistenti, più sani e più buoni. E senza interventi invasivi o chimici pesanti, ma sfruttando i normali elementi nutritivi di cui la pianta ha bisogno: calcio per rinforzare le pareti cellulari, potassio per regolare l’acqua e migliorare la qualità, azoto per stimolare la crescita.
Il tutto in un contesto agricolo sempre più attento alla sostenibilità e alla qualità, in cui questi risultati aprono effettivamente una strada concreta e accessibile per migliorare la produzione di ciliegie, ridurre le perdite, e offrire al consumatore un prodotto più duraturo e gustoso.
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Ilaria De Marinis
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