Il pistacchio: cultivar e portinnesto

In Italia, il pistacchio è diffuso principalmente in Sicilia, ma la presenza di cultivar e portinnesti differenti ne permette la coltivazione anche in altre regioni

da uvadatavoladmin
il pistacchio

In Italia, la coltivazione del pistacchio è diffusa principalmente in Sicilia, con una produzione media di poco superiore alle 3.000 tonnellate annue. Al di fuori, la produzione di questa coltura interessa anche altre regioni del Centro-Sud Italia come Calabria, Campania, Puglia e la bassa Basilicata.

Nella coltivazione di un pistacchieto, una delle prime decisioni da prendere è quella relativa alla scelta della cultivar e del portinnesto.

La coltura del pistacchio, come quasi tutte le colture arboree, beneficia della tecnica dell’innesto. In combinazione con la scelta della cultivar, tale tecnica permette di superare o ridurre problematiche di natura fitosanitaria, nutrizionale o tessiturale del terreno e di massimizzare l’adattamento alle condizioni climatiche del territorio. Le varietà di pistacchio sono numerose, ciascuna dotata di caratteristiche ed esigenze proprie che le rendono adatte a una zona di produzione piuttosto che un’altra. Le cultivar, infatti, si differenziano per durata delle fasi fenologiche, produttività e qualità del raccolto. Entro certi limiti, tali differenze permettono di individuare cultivar adatte ad aree in cui finora il pistacchio non è mai stato coltivato.

Caratteristiche delle principali cultivar e portinnesti di pistacchio

La temperatura dell’area di coltivazione rappresenta uno dei principali fattori abiotici che influenza la produzione di pistacchio, incidendo su processi molto importanti come l’attecchimento dell’innesto, lo sviluppo dei frutti o la stagione della fioritura e della raccolta. L’albero del pistacchio necessita di estati lunghe e molto calde e di inverni freddi. La ripresa vegetativa della pianta, infatti, è indotta dall’accumulo di un minimo di ore di freddo a circa 7°C, affinché le gemme possano uscire dalla dormienza invernale. Superato il fabbisogno di ore in freddo, la pianta del pistacchio necessita di primavere ed estati calde, che si valutano attraverso il parametro delle unità di calore.

Fra tutti, fabbisogno in freddo e unità di calore sono i parametri di maggior rilevanza nella scelta delle cultivar: il mancato soddisfacimento dell’una o dell’altra condizione può infatti provocare ritardi nella maturazione e la presenza di frutti chiusi o vuoti.

Più nel dettaglio, le cultivar Kerman e Ohadi necessitano rispettivamente di almeno 1100 e 1000 ore di freddo, mentre le cultivar Golden Hills, Lost Hills, Aegina e Napoletana variano da 700 a 900 ore e si adattano a zone più temperate. Anche per quanto riguarda le unità di calore, la cv Kerman richiede un numero di ore di caldo (3550 U.C.) superiore alle cultivar Larnaka e Mateur che ne richiedono 3200 U.C.

Essendo il pistacchio una specie dioica, con fiori maschili e femminili portati separatamente da individui differenti, è poi molto importante associare cultivar maschili e femminili compatibili in modo tale da far combaciare il calendario di fioritura e garantire una buona impollinazione. 

il pistacchio 1

In Italia, la cultivar maggiormente utilizzata è la Bianca (Napoletana), caratterizzata da vigoria media e fioritura tardiva. La raccolta avviene infatti tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre.

Conoscere le diverse cultivar a disposizione, però, non è sufficiente. Un altro aspetto fondamentale è il corretto portinnesto, il cui impiego è legato alla capacità di assicurare resistenza a determinati parassiti (in particolar modo ai nematodi), tolleranza alla salinità e una maggior resa produttiva e qualitativa. Il portinnesto può appartenere a diverse specie, ma tutte del genere Pistacia.

Tra i principali portinnesti utilizzati, si ricordano P. terebinthus, P. atlantica, P. integerrima (PGI) e UCB1 (University of California, Berkeley). Vediamoli singolarmente.

  • P. terebinthus è una specie molto rustica, autoctona della zona mediterranea. Questo portinnesto è dotato di buona affinità con tutte le cultivar, è tollerante al Verticillum dahliae K. e si contraddistingue per vigore moderato.
  • P. atlantica è una specie originaria del Nord Africa, dell’Asia occidentale e del Sud-Est dell’Europa. È caratterizzata da vigore moderato-alto e buona affinità con molteplici cultivar. Mostra una buona resistenza alla salinità e ai terreni calcarei, manifesta un’entrata in produzione tardiva e risulta molto sensibile al Verticillum dahliae K..
  • P. integerrima (PGI) è diffusa come coltura selvatica in diversi Paesi asiatici, è una specie molto vigorosa, ma di scarsa resistenza al freddo. Normalmente soffre in terreni con pH acido. La produzione è medio-bassa in terreni asciutti, mostra una bassa resistenza alla salinità e buona ai suoli calcarei. L’entrata in produzione è molto precoce.
  • UCB1 (University of California, Berkeley) è un ibrido frutto dell’incrocio tra la pianta femminile di P. atlantica e quella maschile di P. integerrima attraverso un’impollinazione artificiale. Questo portainnesto permette una buona produzione in terreni asciutti, profondi e con tessitura media. Presenta vigore elevato e alta precocità nell’entrata in produzione, è più resistente al freddo del P. integerrima, mostra una resistenza media alla salinità e buona ai terreni calcarei. Risulta resistente all’Armillaria e tollerante al Verticillum dahliae K.  È l’unica soluzione per aree fredde che evidenziano problemi di verticillosi. 

Il pistacchio e la Xylella

Dalla disponibilità di un numero vasto di combinazioni tra nesto e portinnesto e dalla predisposizione del pistacchio per le condizioni pedoclimatiche del Sud Italia, negli scorsi anni, alcune aziende pugliesi hanno sfruttato queste caratteristiche per la rigenerazione sostenibile dell’agricoltura nei territori colpiti da Xylella fastidiosa. Purtroppo, però, in seguito alle sperimentazioni all’interno delle aree infette dal patogeno, il pistacchio è rientrato tra le specie ospiti di Xylella, vietandone in seguito gli impianti in tutta l’area demarcata infetta. A fronte di queste informazioni, è diventato importante verificare in modo sperimentale la suscettibilità o resistenza delle più importanti cultivar di pistacchio al batterio.

 

Donato Liberto
© fruitjournal.com

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