Se in passato la produzione di mele era concentrata prettamente nelle regioni montane e pedemontane, oggi anche la melicoltura meridionale potrebbe rappresentare una risorsa per il comparto. A partire dalla Campania.
La melicoltura meridionale occupa una superficie di 5.491 ettari (Istat 2019) e rappresenta il 9,5 % delle superfici investite a melo in Italia.
La melicoltura meridionale riveste una importanza limitata rispetto ad altre specie frutticole come agrumi, drupacee e uva da tavola. D’altra parte, la presenza di particolari microclimi e le capacità imprenditoriali degli addetti al settore hanno consentito lo sviluppo di una filiera melicola di qualità, anche se con numeri limitati rispetto alle aree vocate del Nord Italia.
In alcuni areali prevale la coltivazione di cultivar autoctone legate al territorio, anche per via del forte interesse suscitato da diverse iniziative atte a promuovere e valorizzare le varietà locali, nonché dalla ricerca e riscoperta di sapori del passato ormai dimenticati. In altri, invece, si sta sviluppando una coltivazione che segue i nuovi canoni di mercato attraverso l’utilizzo di tecniche agronomiche innovative e l’introduzione delle ultime novità appartenenti ai diversi gruppi varietali.
Nell’ultimo decennio la Campania è stata la prima regione del Sud per superficie investita a melo, con circa 3.500 ettari che rappresentano il 64 % di tutte le aree meridionali.
In provincia di Caserta si è avuto un incremento del 10 % nelle superfici fino al 2014, raggiungendo i 2.589 ettari nell’ultimo triennio, mentre nelle altre province si è verificata una leggera contrazione. Le coltivazioni di melo sono presenti nei comuni di Sessa Aurunca, Carinola e Falciano del Massico (Caserta) più vicini al mare, nelle zone collinari del Teanese e in quelle prossime al Massiccio del Matese, nell’Alto Casertano, al confine con Lazio e Molise, dove si concentra la maggior parte della melicoltura casertana, ma anche campana.
Negli ultimi anni si è assistito a un forte cambiamento delle tecniche agronomiche, con nuove forme di allevamento e aumento del numero di piante a ettaro. Il vaso è presente solo in vecchi impianti nella Valle Telesina in provincia di Benevento e nella Valle Caudina in provincia di Avellino, mentre la palmetta sta cedendo gradualmente il passo al fusetto. Nella realizzazione dei nuovi impianti con 1700-1800 piante/ettaro si utilizza il fusetto o, in qualche caso, il doppio asse nelle due varianti, impalcato al punto di innesto o a 50-60 cm da terra, per rendere più agevoli le operazioni colturali. Nel comparto operano sia piccole aziende a livello familiare con superfici inferiori all’ettaro, sia medie e grosse aziende spesso associate in OP.
Nel panorama varietale la regina incontrastata è l’Annurca che, con il clone Annurca Rossa del Sud, rappresenta buona parte delle mele prodotte in Campania, laddove l’Annurca “Classica” o “tradizionale” – come da alcuni viene denominata – rappresenta una parte esigua della produzione.
L’aspetto che caratterizza questa cultivar è la fase post-raccolta, con l’arrossamento dei frutti a terra nei cosiddetti “melai”, realizzati su strisce di terreno un tempo coperte da strati di canapa detti “cannutoli” (scarto della lavorazione della canapa) oggi sostituiti da altri materiali, come trucioli di legno posizionati su uno strato di tessuto non tessuto per evitare il contatto dei frutti con il terreno sottostante. I melai caratterizzano il paesaggio delle aree di coltivazione, stabilendo quel legame storico e indissolubile tra il territorio e questa antica varietà.
Il legame con il territorio e la specificità delle agrotecniche applicate hanno fatto sì che nel 2006 le venisse riconosciuta l’Identificazione Geografica Protetta (IGP), ai sensi del Reg. CE 417/2006. I frutti vengono commercializzati con il logo Melannurca Campana IGP con la dicitura “Annurca” per la varietà originaria e “Rossa del Sud” per il suo clone migliorativo. Nel primo disciplinare di produzione veniva fissata una densità di 1200 piante per ettaro, compreso gli impollinatori e una produzione massima di 350 quintali, ma esso è stato sottoposto a modifica “minore” con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea – Serie C 174 del 14 maggio 2016, che ha portato a 1666 il numero di piante/ettaro e a 450 quintali la produzione massima. Questo atto ha determinato una spinta verso una maggiore intensificazione degli impianti e rese unitarie più elevate. Inoltre, le ultime scoperte in campo farmacologico e nutraceutico hanno favorito l’incremento dei consumi.
In Campania, oltre all’Annurca, sono presenti anche mele appartenenti ad altri gruppi varietali come: il gruppo Gala con i vari cloni sia nella tipologia striata, che a colorazione uniforme, Golden, Red Delicious e Fuji. Per quest’ultimo gruppo, dopo un buon incremento avutosi negli ultimi anni, non si sono registrati nuovi impianti soprattutto per la difficoltà a raggiungere una buona colorazione in alcune annate.
Accanto a una melicoltura di tipo intensivo, esiste però una frutticoltura tradizionale più rispettosa dell’ambiente, che si concentra nelle aree interne della regione campana, Matese e Irpinia, dal clima più freddo e per altro vocate alla coltivazione del melo, dove si scommette sia sulla conservazione della biodiversità, che sul recupero commerciale di antiche varietà locali.
Entro questo quadro si inserisce il lavoro svolto dal CREA-OFA di Caserta, con progetti come “Frutta Antica d’Irpinia”, “Frutta Antica del Matese” e “AGRIGENET” finanziati dalla regione Campania e volti al recupero della biodiversità frutticola autoctona.
Nell’area matesina, in provincia di Caserta, troviamo varietà come: San Giovanni, Fungiona e Zampa di Cavallo riconducibili alla Renetta del Canada, Limoncella, Arito, Ambrosio, Cusanara e Cerrata coltivate su piccolissime superfici spesso in promiscuità e il cui prodotto viene commercializzato nei mercatini locali, consumato fresco oppure trasformato presso le molteplici aziende agrituristiche presenti in zona. In Irpinia, in provincia di Avellino, il melo viene invece coltivato su piccole superfici; le varietà più diffuse sono Bianca di Grottolella, Limoncella, Capo di Ciuccio e Cassanese il cui prodotto viene collocato nei mercati locali oppure trasformato in piccoli laboratori aziendali o presso terzi. In provincia di Avellino, grazie alla presenza di una importante industria di trasformazione nell’area industriale di Luogosano, si stanno sviluppando nuovi impianti di nuove specie frutticole da avviare alla trasformazione, tra cui nuovi meleti con la cultivar Imperatore. Nella Valle Telesina, in provincia di Benevento, sono stati realizzati piccoli impianti con Primiera e Golden Orange.
A cura di: Pietro Rega, Danilo Cice, Elvira Ferrara, Milena Petriccione – Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA) – Centro di Ricerca Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura (OFA) – Caserta
© fruitjournal.com