La varietà Favolosa è il risultato di studi effettuati negli anni’80. Si tratta di una cultivar con un’epoca di maturazione precoce, elevata e costante produttività, olio eccellente, ma soprattutto resistente al batterio.
L’idea di considerare l’olivicoltura – sistema colturale immodificato da secoli – alla pari della frutticoltura, adottandone i metodi gestionali ed innovativi per il rinnovo varietale, le forme di allevamento e le tecniche colturali, fu lanciata già sul finire degli anni ‘80 dal prof. Giuseppe Fontanazza, allora direttore dell’Istituto di Olivicoltura del CNR di Perugia.
La constatazione di un mondo agricolo in forte evoluzione, che avrebbe dovuto assicurare una dignitosa redditività alle imprese adottando sistemi di coltivazione di facile gestione ed applicazioni altamente meccanizzabili, fu la spinta di una ricerca volta ad individuare nuovi genotipi di olivo, a partire dalle storiche varietà autoctone italiane. La ricerca mirava anche alla costituzione di portinnesti clonali deboli per proporre la nuova olivicoltura del futuro.
La nascita della Favolosa (FS17)
Da una popolazione di centinaia di semenzali provenienti da libera impollinazione della varietà Frantoio, si distinse un genotipo caratterizzato da bassa vigoria, portamento tendenzialmente pendulo e rametti fruttiferi lunghi, con infiorescenze e fruttificazione di frequente a grappolo, costanza produttiva, precoce entrata in produzione ed anticipo della maturazione, eccellente qualità dell’olio con buone rese produttive in olio.
Nacque così la Favolosa (FS 17), protetta nel 1993 secondo le norme nazionali con numero di privativa Brev. CNR 1165 nv. Essa doveva costituire la proposta italiana di una nuova olivicoltura intensiva: 800-1000 piante/ha, completamente meccanizzata, custode della qualità e dei sapori della migliore tradizione nazionale e delle aree produttive più pregiate.
Per tutta una serie di motivazioni (non è questa la sede idonea per la trattazione) l’idea innovativa del prof. Fontanazza, esportata nel frattempo anche in altri contesti mediterranei e d’oltre oceano (Argentina) non attecchì come sperato, complice una non chiara pianificazione della fase vivaistica ed una politica di vendita delle piante che rendeva gli impianti scarsamente competitivi con lo standard dell’olivicoltura tradizionale.
Lo sviluppo dell’idea originale. È pur vero che in Puglia dal 1996 l’ASSOPROLI avviò una sperimentazione con una dozzina di campi sperimentali con diversi layout d’impianto e forme di allevamento. L’idea era quella di poter disporre di una varietà dalle caratteristiche dell’Ogliarola barese/Cima di Bitonto, con epoca di raccolta precoce ed anticipata al fine di un miglior sfruttamento ed ammortamento di macchine agricole e impianti d’estrazione, la possibilità di allungare la stagione disponendo subito di un prim’olio di qualità e dalle caratteristiche ricercate dal consumatore: gusto erbaceo, fruttato medio intenso, con piccante che prevale sull’amaro tenue.
I risultati furono incoraggianti per quanti seguirono i protocolli di coltivazione che, è pur vero, necessitavano di adattamenti e verifiche nelle diverse condizioni di allevamento.
Essi spinsero alcune importanti aziende a puntare sulla Favolosa, impiantando decine di ettari in condizioni pedoclimatiche differenti e con buoni risultati che si attestano, con piante in età adulta, su produzioni medie di 130 q.li/anno e rese in olio del 16% per gli impianti intensivi e del 17,5% per produzioni provenienti da impianti tradizionali. Attualmente si stima una superficie totale di 400 ha investita da questa varietà.
La scoperta ed i dati sperimentali su basi scientifiche che hanno accertato l’elevata resistenza al batterio Xylella fastidiosa sottospecie pauca (ST53) hanno messo nuovamente alla ribalta la Favolosa. La resistenza mostrata è dovuta ad un meccanismo di inibizione della replicazione batterica non ancora identificato, che produce nelle cellule xylematiche della Favolosa una densità di popolazione batterica di 2 ordini di grandezza inferiore (mentre nella varietà Leccino è di un ordine di grandezza inferiore) rispetto alle varietà suscettibili Ogliarola Salentina e Cellina di Nardò. Ne conseguirebbe che la minore percentuale dei vasi xilematici occlusi, ed il rallentato movimento e sistemicità all’interno nei tessuti vascolari, non determinano la morte delle piante.
L’interesse verso questa varietà è ora elevatissimo e rappresenta un barlume di speranza per i territori salentini ormai orfani della specie vegetale per antonomasia, abitati ormai da scheletri contorti privi di vegetazione.
La nuova proposta di una moderna olivicoltura Come spesso avviene nella storia dell’umanità e dell’evoluzione, eventi critici e traumatici spingono alla ricerca di soluzioni idonee al loro superamento. La nuova olivicoltura che si fonda sulla Favolosa FS 17 – con approcci però validi per altre varietà ed in altri contesti – si basa su concetti semplici, ma che richiedono solide basi tecniche, una pianificata ed attenta programmazione, associate a capacità organizzative e realizzative. Sfruttando l’elevata capacità rizogena e l’ottima attitudine alla propagazione per talea, è possibile programmare la produzione vivaistica dando certezza dei tempi di consegna delle piante.
Le piante prodotte da talee mono-nodali sono sostanzialmente di due tipi: in vasetto di piccolo volume 1 lt circa, di 6-8 mesi d’età ed altezza di 40 cm circa, idonee per impianti intensivi con struttura di sostegno; oppure piante in vaso più strutturate, di 18 mesi di età ed alte oltre 120 cm per la costituzione di impianti tradizionali. Circa il tipo di struttura di sostegno, per gli impianti intensivi è consigliata quella che prevede un filo zincato a 90 cm dal piano di calpestio, con tutori di altezza fuori terra di 140 cm circa. Le distanze d’impianto consigliate sono di 6-7 metri tra le file e 5 sulla fila, con densità di circa 300 piante/ha, al fine di permettere un’agevole meccanizzazione con gli scuotitori ad ombrello riverso.
Invece per gli impianti intensivi, si consigliano distanze tra le file di 4,5-5 metri e 2-2,5 mt sulla fila, realizzando densità tra le 800 e le 1000 piante/ha, da raccogliere con macchine scavallatrici.
Secondo queste modalità programmate, è possibile contenere il costo delle piante permettendo, a seconda delle condizioni di terreno, di ridurre i costi d’impianto che, comprensivi d’irrigazione a goccia, struttura di sostegno e tutori, si aggirano intorno a € 7.000/ha per gli pianti intensivi e la metà circa per quelli tradizionali. È questo il principio del Consorzio Oliveti d’Italia di Andria con il suo presidente Nicola Ruggero, imprenditore/produttore con consolidata esperienza nel settore per aver in passato ricoperto cariche di rappresentanza nelle organizzazioni nazionali di categoria. A fianco a questa moderna visione del settore, vi è la consapevolezza di promuovere e favorire la formazione professionale di tecnici ed olivicoltori.
Per questo motivo sono promosse iniziative seminariali e dimostrazioni pratiche che permettono il trasferimento gratuito del know how maturato e sviluppato nel corso degli anni.
Una maniera di pensare non stretta da legacci dogmatici e da prese di posizione puramente speculative che non hanno permesso un’evoluzione dell’olivicoltura italiana. Nel rispetto delle caratteristiche pedoclimatiche proprie di ogni areale di coltivazione e dell’organizzazione delle singole aziende, la parola d’ordine è quella della sostenibilità degli investimenti attraverso scelte tecniche razionali che permettano un’efficiente gestione dell’oliveto per il raggiungimento di livelli di redditività competitivi.
Una sfida non solo per l’olivicoltura salentina da rifondare a seguito della catastrofe causata dall’epidemia di Xylella, ma per tutto il comparto nazionale, a cui potrà contribuire la varietà italiana Favolosa FS 17.
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