Cercosporiosi olivo: sintomi, danni e difesa

Una recrudescenza delle infezioni da cercosporiosi olivo, meglio nota come "piombatura dell'olivo", preoccupa il Sud Italia

da Redazione FruitJournal.com

La cercosporiosi olivo, conosciuta anche come “piombatura dell’olivo”, torna a minacciare le coltivazioni del Sud Italia, rischiando di provocare danni non indifferenti a piante e frutti.

Sebbene considerate patologie fungine di minore importanza, alcune micosi tornano a far sentire la propria presenza, determinando una seria recrudescenza delle infezioni da cercosporiosi olivo negli areali del Sud Italia.

A preoccupare maggiormente è l’azione di Pseudocercospora cladosporioides, il fungo responsabile della piombatura dell’olivo. La sua elevata specializzazione patogenetica fa sì che il fungo attacchi principalmente Olea europaea L., sebbene non siano mancate segnalazioni della sua presenza anche su piante del genere Prunus.
Segnalato per la prima volta nel 1880, il fungo responsabile della cercosporiosi è stato riconosciuto in Italia nel 1953 da Modugno Pettinari che ne rilevava la presenza in tutte le zone olivicole italiane, con particolare concentrazione nel Salento, in Puglia.

Sintomi

Dal punto di vista sintomatologico, sulla faccia superiore della foglia dell’olivo infetto si assiste alla formazione di zone clorotiche, irregolari, che divengono progressivamente di colore marrone-necrotico. Nella porzione inferiore, invece, si manifestano aree di colore grigio-piombo legate alla presenza di strutture fruttifere asessuali del fungo.
Più generalmente, i sintomi più evidenti si presentano sulle foglie vecchie situate sui rami della parte inferiore della pianta, anche se frequenti sono le infezioni di quelle più giovani (4-5 mesi).

cercosporiosi olivoDal punto di vista biologico, il patogeno si sviluppa maggiormente nei mesi con temperature comprese fra 10-20°C e con umidità elevata (>80%), condizioni tipiche  della stagione autunno-invernale. Nei mesi compresi fra ottobre e marzo, si assiste principalmente alla produzione di conidi. Il patogeno si disperde a breve distanza, da foglia a foglia, sebbene vento e pioggia favoriscano la sua azione. Un ruolo non indifferente nella sopravvivenza del fungo è svolto anche dalle foglie cadute sul terreno, che rappresentano un’importante fonte di inoculo.

Una criticità non indifferente per gli olivicoltori è poi rappresentata dal periodo di incubazione: tra il momento dell’infezione e la comparsa dei primi sintomi, infatti, possono intercorrere più di nove mesi.

D’altra parte, la malattia risulta più impattante negli impianti fitti, vigorosi e scarsamente areati.

Danni

Spesso confusa con altre malattie dell’olivo, la patologia può comportare serie complicazioni per gli ulivi colpiti. Prima fra tutte, la caduta anticipata delle foglie infette, seguita da una generale debilitazione della pianta. Ripercussioni negative, però, si riscontrano anche in termini di produzione e capacità della pianta di resistere ad attacchi biotici e abiotici. Complessivamente può infatti accadere che i frutti attaccati cadano e che l’olio ottenuto presenti elevati livelli di perossidi, compromettendo così l’intera campagna olearia.

Alcuni studi effettuati hanno poi accertato che le precoci filloptosi dovute a cercosporiosi possono determinare perdite anche del 20% sulla produzione dell’anno successivo.

Difesa

Molto spesso il fungo vettore della cercosporiosi viene confuso con altre micosi dell’olivo: cicloconio, Colletotrichum, Neofabraea e altre. Questo ha determinato un’erronea impostazione della difesa che, soprattutto negli ultimi anni, ha inciso notevolmente sulla gestione della malattia, incrementando – talvolta – la diffusione stessa della problematica in tutti gli oliveti del Paese.

In passato, infatti, la difesa si è basata su trattamenti rameici coincidenti con quelli contro l’occhio di pavone, portando risultati non sempre risolutivi sulla malattia.
Recentemente, però, alcuni studi e specifiche esperienze effettuate in Abruzzo nel biennio scorso hanno evidenziato rinnovati aspetti bioecologici del patogeno e hanno quindi proposto una nuova sequenza temporale per effettuare gli interventi fitosanitari.
Nello specifico, per le cultivar suscettibili si consiglia una successione di quattro trattamenti in febbraio, aprile, fine agosto, fine settembre-ottobre, periodi in cui le infezioni aumentano a causa della sporulazione derivante dalle infezioni residue.

Dal punto di vista della difesa fitosanitaria, le sostanze più efficaci riportate – oltre al rame – sono strobilurine, triazoli e dodina.
A tal proposito, interessante sviluppo stanno avendo alcuni test che prevedono l’applicazione di un fertilizzante minerale a base di potassio (ossido di potassio 18%).

Progressi importanti, dunque, ai quali però andranno accompagnati dati aggiornati e nuove sperimentazioni. L’unione di questi due aspetti potrebbe così garantire una migliore difesa alla cercosporiosi che tenga conto di una gestione agronomica sostenibile dell’oliveto e di interventi fitoiatrici efficaci e ben calibrati.

 

 

Ilaria De Marinis
© fruitjournal.com

 

 

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