La produzione di pomodori in Italia, rinomata per la sua eccellenza e qualità, sta affrontando sfide sempre più numerose a causa della rilevante presenza di parassiti e patogeni che possono attaccare questa specie orticola. Se da un lato ci sono funghi e batteri patogeni che destano preoccupazione tra gli agricoltori, la situazione non è certo più rassicurante per quanto riguarda gli insetti parassiti. Tra quelli più temuti, soprattutto in serra, ci sono le specie di Trialeurodes vaporariorum e Bemisia tabaci, meglio conosciute come mosche bianche degli orti o delle serre.
Questi aleurodidi (detti anche aleirodidi) sono capaci di diffondersi in modo rapido e risultano difficili da contrastare, rappresentando una minaccia importante per i produttori del comparto. A destare preoccupazione non sono solo i danni diretti che possono provocare sulla vegetazione attraverso la loro attività trofica, ma soprattutto i danni indiretti che possono causare in quanto vettori di tre importanti virus che compromettono la vitalità delle piante di pomodoro: TYLCV (virus dell’accartocciamento fogliare giallo del pomodoro), ToCV (virus della clorosi virale del pomodoro) e ToLCNDV (Tomato Leaf Curl New Delhi Virus), in grado di attaccare non solo le Solanacee, ma anche le Cucurbitacee.
Una volta penetrati all’interno di una pianta, i virus non sono debellabili. Per questo risulta estremamente fondamentale impedire la loro diffusione attraverso il controllo dei vettori, in questo caso delle specie parassite di mosca bianca.
Mosche bianche: le specie fitofago-chiave del pomodoro
Trialeurodes vaporariorum e Bemisia tabaci sono i due aleurodidi che infestano e vivono a spese del pomodoro, soprattutto in serra, in quanto prediligono ambienti caldi e riparati. Tuttavia, questi piccoli artropodi sono altamente polifagi e si possono trovare su molte specie vegetali, da orto, da frutto, ma anche selvatiche, complicando così il controllo. Non solo. Grazie alla loro elevata polifagia, i due aleurodidi si possono stabilire tra le foglie delle colture autunno-vernine (es. Brassicacee), dove trovano riparo fino alla primavera successiva.
Comunemente note come mosche bianche, si posizionano abitualmente sulla pagina inferiore delle foglie, rendendo difficile l’identificazione. Quanto meno fino al momento in cui, irrigando le piante, gli individui adulti di mosca bianca tendono a prendere il volo.
Raggiunta la superficie fogliare, penetrano i tessuti con il loro apparato boccale pungente-succhiante e si nutrono della linfa vegetale delle piante. La loro presenza può essere diagnosticata anche per la presenza di una caratteristica melata zuccherina (escrementi), che successivamente potrebbe stimolare lo sviluppo di fumaggini (Cladosporium spp.), danno indiretto che aggrava ulteriormente il quadro sintomatologico sulle piante di pomodoro e dei loro frutti.
Queste due specie parassite vengono spesso confuse poiché molto somiglianti, tuttavia un occhio esperto potrebbe riconoscerle dalla posizione delle ali: in B. tabaci sono infatti inclinate rispetto al piano di appoggio, mentre in T. vaporariorum sono quasi parallele alla superficie fogliare. Da un punto di vista sintomatologico, generalmente B. tabaci è caratterizzata da una dannosità potenziale superiore nei confronti del pomodoro.
Come difendere le piante di pomodoro dagli attacchi di questi piccoli parassiti?
Prima di affrontare il discorso relativo alla difesa nei confronti delle mosche bianche degli orti è bene considerare in maniera preventiva le operazioni di monitoraggio e prevenzione, soprattutto nell’ottica di un’agricoltura sempre più sostenibile e consapevole.
Per prevenire la formazione di rilevanti popolazioni di mosche bianche, una regola sempre valida, in linea con i fondamenti dell’agricoltura integrata è l’alternanza delle colture. Non solo. Trattandosi di artropodi che spesso attaccano gli ortaggi in serra, fornire ogni accesso alla serra con reti a maglia fitta e arieggiare frequentemente l’ambiente con l’ingresso di aria fresca potrebbe sicuramente risultare vantaggioso in un’ottica preventiva.
Una soluzione valida per controllare le mosche bianche è rappresentata dall’applicazione di trappole cromatiche. Questi fogli plastici possono avere un duplice obiettivo:
- monitoraggio, consentendo di individuare tempestivamente la presenza del parassita e intervenire prima che abbia luogo una eccessiva proliferazione;
- difesa che, con una funzione analoga a quella della carta moschicida, agiscono attraverso la cattura massale delle mosche bianche (utilizzate anche per Tuta absoluta), sebbene – se non attenzionate – possono rappresentare uno strumento di cattura anche per gli insetti utili.
Tra i mezzi di difesa, estremamente efficace risulta l’utilizzo di antagonisti naturali nei confronti delle mosche bianche, soprattutto in ambiente protetto.
Sono stati individuati diversi predatori e parassitoidi che svolgono un’azione antagonista nei confronti degli aleurodidi. Nella lotta biologica, è possibile avvalersi dell’Encarsia formosa. Le femmine di questo piccolo imenottero parassitoide depongono l’uovo all’interno degli stadi giovanili delle mosche bianche e le larve che nascono si sviluppano dentro il corpo della vittima fino a ucciderla. Anche le coccinelle risultano abili predatori nei confronti di diversi parassiti delle colture: preservare la loro presenza attraverso un uso consapevole e mirato dei fitofarmaci potrebbe fare la differenza.
Oltre a questi due insetti antagonisti, si possono usare anche funghi entomopatogeni come la Beauveria bassiana e il Verticillium lecanii, ormai utilizzati come componente degli insetticidi biologici disponibili in commercio. Dopo la loro applicazione sulle colture, le spore di questi funghi entomopatogeni germinano, perforano la cuticola del parassita e rilasciano tossine che compromettono lo stato immunitario dell’insetto: dopo 24 ore il fitofago si disidrata e muore.
Il ricorso a mezzi di difesa integrata o biologica nei confronti delle mosche bianche, se applicati con tempestività e metodologia corrette, potrebbe garantire vantaggi anche superiori rispetto alla lotta chimica che, se non mirata, potrebbe addirittura determinare lo sviluppo degli aleurodidi, impedendo l’insediamento degli ausiliari e provocare l’insorgenza di fenomeni di resistenza.
Donato Liberto
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