Nell’articolo “Il Salento dopo Xylella: numeri e scenari” pubblicato sull’ultimo numero di Fruit Journal, l’agronomo Stefano Marullo illustra conseguenze e scenari tracciati dall’arrivo del batterio, approfondendo le varietà Leccino e Favolosa, le uniche autorizzate per l’impianto.
150.000 ettari distrutti, 17 milioni di ulivi secchi, 5.000 posti di lavoro persi nella filiera dell’olio extravergine, 30.000 tonnellate di olio di mancata produzione ogni anno, 130 milioni di euro persi all’anno, la metà dei frantoi in provincia di Lecce chiusi o i cui frantoi e macchine sono state svendute in Grecia, Marocco o Tunisia.
Questo, ad oggi, lo scenario in Salento dopo Xylella Fastidiosa.
Non solo numeri su carta, ma una realtà con cui convivono tutti gli olivicoltori salentini da nove anni e a cui MiPAF e Regione Puglia hanno cercato di rispondere mettendo in gioco quasi 400 milioni di euro attraverso le misure del PSR 2014-2020 e del Piano Straordinario di Rigenerazione Olivicola. Un programma straordinario di aiuti che si pone come obiettivo la rinascita del patrimonio olivicolo pugliese nelle zone colpite da Xylella fastidiosa, nonché prevenire l’espansione del patogeno. Con una dotazione finanziaria complessiva di 300 milioni, il Piano si articola in 14 misure. Nella forma dell’articolo 6 mette sul tavolo 40 milioni e si pone in continuità con la sottomisura 5.2, rifacendosi allo stesso bando per il calcolo degli aiuti.
Il recentissimo decreto del MIPAAF, inoltre, stanzia ulteriori 30 milioni con i quali sarà finanziato il 70% degli investimenti per la costituzione di nuovi impianti o per l’ammodernamento di impianti esistenti, con un massimo di aiuti pari a 25mila euro a impresa.
Gli oliveti così ricostituiti sono stati impiantati con le uniche due varietà autorizzate: Leccino e Favolosa. Al 31 dicembre 2021, gli olivi reimpiantati in Salento sono stati più di 1 milione e 200 mila, di cui oltre il 70% nelle provincie di Lecce e Brindisi, dove sono stati impiantati oltre 700 mila alberi di Favolosa e quasi 450 mila di Leccino.
Leccino e Favolosa: nuovi punti di partenza?
La Leccino è una varietà autoctona della Toscana, la cui coltivazione è però presente in tutti gli areali olivicoli d’Italia in impianti a media densità. Per sua natura, infatti, questa cultivar ha elevata vigoria, portamento espanso e chioma voluminosa, caratteri che ne rendono impossibile l’allevamento in sistemi ad alta densità. Tuttavia, uno dei principali fattori che oggi potrebbero scoraggiarne l’impianto è rappresentato dalla sua autosterilità. I classici impollinatori del Leccino, le cultivar Pendolino e Moraiolo, sono infatti suscettibili a Xylella; inoltre non è ancora stata indagata la compatibilità con la cultivar Favolosa.
La Favolosa (o FS-17 come riportato nel brevetto), vera innovazione che merita un focus particolareggiato rispetto all’ormai nota Leccino, è invece una varietà di più recente introduzione, frutto della selezione massale di semenzali ottenuti dalla libera impollinazione della cv Frantoio. Dunque – è sempre bene specificarlo – non è una varietà OGM.
Nata negli anni ‘80 dalle ricerche del prof. Giuseppe Fontanazza, allora direttore dell’Istituto di Olivicoltura del CNR di Perugia, come portinnesto clonale in grado di ridurre la vigoria in combinazione di innesto con alcune varietà da mensa come Giarraffa, Bella di Cerignola e Peranzana, la cultivar Favolosa è stata anche coltivata come varietà da olio in sistemi olivicoli ad alta densità in diversi areali del centro Italia.
La sua coltivazione in Salento su vasta scala è invece iniziata con la scoperta dei caratteri di resistenza a Xylella.
A tal proposito, è bene specificare che la varietà non è immune al batterio, ma che è in grado di resistergli e di garantire una buona produzione adottando le pratiche agronomiche necessarie. Può accadere infatti di osservare sintomi di bruscature sulle foglie, ma si verifica soprattutto in oliveti trascurati e non irrigui.
È una varietà a vigoria media e portamento pendulo con elevata adattabilità a diversi sistemi di impianto, come quelli ad alta densità, dove si è osservata una buona risposta della pianta alla meccanizzazione delle operazioni di potatura e raccolta. Ha elevata capacità rizogena (le piantine sono ottenute per radicazione di talee semilegnose) e, se concimata e potata in maniera razionale, ha dimostrato un rapidissimo accrescimento e una precoce entrata in produzione, grazie alla capacità di formare nuovi rami con tendenza fruttifera generalizzata.
I rami fruttiferi sono lunghi e flessibili e portano produzioni abbondanti, tipicamente a grappoli, grazie alla elevata auto fertilità e alla bassa percentuale di aborto ovarico.
L’epoca di fioritura è paragonabile a quella della Frantoio, dalla quale però si differenzia per l’anticipato processo di inolizione, che si completa 40 giorni prima di quello del parentale. Le drupe, di colore rosso vinoso alla raccolta, sono di pezzatura media (2,5-3 g) e con una resa in olio, in base all’epoca di raccolta, che si attesta tra il 15 e il 18%.
Oltre ai caratteri di resistenza a Xylella, la varietà presenta resistenza media a salinità, verticilliosi, occhio di pavone e rogna; risulta invece molto resistente alla lebbra.
L’olio è di ottima qualità, sia chimica – basso numero di perossidi, che aumentano la conservabilità, e ricco in polifenoli, ben noti per l’attività antiossidante – che organolettica – ha un fruttato medio di tipo erbaceo, con sentori di pomodoro e carciofo e note di piccante e amaro di media intensità. La concentrazione di acido oleico è intorno al 77%.
Queste due varietà, diverse nella vigoria, nella disposizione delle branche fruttifere e nella posizione della produzione, sono però coltivate con ottimi risultati anche in sistemi a media densità, dalle 250 alle 400 piante per ettaro, privilegiati soprattutto in appezzamenti marginali o di dimensioni ridotte, in carenza di acqua d’irrigazione o nel caso di aziende che, più semplicemente, preferiscono limitare l’investimento economico, pur puntando razionalmente a obiettivi aziendali ben precisi e commisurati alle risorse interne.
A cura di: Stefano Marullo
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